Commercio tradizionale ed eCommerce, come sono cambiati con il Coronavirus

Il lockdown ha portato, nel giro di pochi giorni, a uno spostamento degli acquirenti dal luogo fisico di scambio dei beni (piccolo negozio o supermercato) all’e-commerce. Secondo l’Istat il commercio elettronico fa riscontrare, su base annua, un deciso aumento, pari al +27,1%

Pubblicato il 21 Set 2020

Andrea Di Maggio

Fondazione Links

Alessandro Portinaro

Fondazione Links

Partnership fra Cofidis e Samsung Electronics Italia

Il mondo del commercio al dettaglio vive ormai da decenni in una condizione di continua e progressiva trasformazione, che ha portato alla perdita di centralità del tradizionale sistema dei negozi di vicinato a favore dapprima della grande distribuzione organizzata (GDO), e successivamente delle piattaforme di eCommerce, prima fra tutti Amazon.

Quanto sopra descritto è, ovviamente, una semplificazione perché i cambiamenti sia dal lato dell’offerta che nelle abitudini di consumo da parte dei cittadini sono decisamente più complessi e frastagliati.

La stessa GDO ha vissuto diverse stagioni, nelle scelte sulla localizzazione dei propri punti vendita così come nella diversificazione delle tipologie di negozio, con metrature e specializzazioni merceologiche che sono mutate con il passare del tempo. A questo si può aggiungere la continua pervasività dei franchising negli assi commerciali delle città di medie e grandi dimensioni.

Allo stesso modo, l’e-commerce cambia ed evolve anno dopo anno e la presenza sul web non riguarda solamente le grandi piattaforme, ma ormai una gran parte degli attori commerciali.

C’è però un dato riportato da innumerevoli analisi statistiche: il numero delle attività è in progressivo calo, vi sono fenomeni allarmanti di desertificazione commerciale nei piccoli centri così come in alcune zone periferiche delle città. L’aumento dei pubblici esercizi (bar e ristoranti) e la tenuta di una certa parte del “food” non è sufficiente, dal punto di vista squisitamente numerico, a bilanciare chiusure e perdita di posti di lavoro nei negozi tradizionali.

Oltre agli aspetti economici e occupazionali citati, c’è anche il rischio di un indebolimento delle reti sociali, in particolar modo per quei soggetti più fragili o meno pronti alle trasformazioni. A questo si aggiunge lo svuotamento del cosiddetto “piano strada” delle nostre città, con vetrine che si spengono e luoghi che non vengono più rioccupati e riempiti, nemmeno per usi diversi dal commercio.

Il commercio di prossimità

Questi fenomeni di trasformazione del commercio hanno un impatto diffuso e sono oggetto di analisi da lungo tempo, tanto che si contano numerosi progetti e tentativi volti, se non ad invertire la rotta, quantomeno ad accompagnare e governare i cambiamenti, supportando la riorganizzazione di quelle attività commerciali che possono ancora individuare degli spazi di mercato ed essere di utilità al tessuto sociale cittadino.

Amministrazioni pubbliche e associazioni di categoria, supportati talvolta da altri soggetti collettivi, sono impegnate da alcuni decenni nell’individuazione di strumenti in grado di sostenere questo comparto economico, al pari di quanto avviene per altri settori produttivi.

Sono numerosi i progetti attivati negli anni, volti a sostenere il commercio di vicinato. Si è provato ad aggregare i titolari dei negozi, quasi sempre micro e piccole imprese, attorno a percorsi di costruzione di identità condivise e facilmente riconoscibili, come ad esempio i centri commerciali naturali o i distretti del commercio. In altre occasioni, assieme a operazioni di branding, si è puntato ad azioni di animazione territoriale, affiancando all’offerta commerciale tradizionale l’organizzazione di eventi destinati a target specifici. Sono state talvolta replicate anche formule proprie della GDO, come ad esempio delle fidelity card territoriali, valide presso gli esercizi aderenti in una data area.

Più di recente gli sforzi si sono concentrati sull’accesso e l’utilizzo di strumenti digitali e innovativi da parte dei negozi di vicinato, nella gestione dei pagamenti, degli ordini, per meglio comunicare con i clienti abituali e i potenziali nuovi, più in generale per rendere più efficiente l’organizzazione del lavoro, aumentare la visibilità del negozio fidelizzare la clientela.

Si è trattato di iniziative spesso lodevoli e che, in molti casi, hanno portato certamente a una presa di coscienza dei fenomeni in atto, ma che raramente hanno portato a risultati tali da frenare il declino del commercio locale. In sostanza il commercio di prossimità è ancora pienamente immerso in quel processo di trasformazione di cui si diceva all’inizio dell’articolo e che vede le nuove modalità di vendita rafforzarsi a scapito proprio dei negozi tradizionali.

L’emergenza Coronavirus e l’impatto sull’eCommerce

In questo contesto, l’emergenza Covid-19 è un momento di discontinuità e rottura, un evento epocale di cui riusciremo a cogliere la portata e gli effetti solo nei mesi a venire e che certamente entrerà nei libri di storia. Così come la vita di ogni singolo cittadino è stata modificata, le decisioni assunte dai governi, con le progressive chiusure e limitazioni di movimento e di interazione hanno avuto un impatto notevole sulle dinamiche del commercio.

Un cambio improvviso: le strade si sono svuotate, molti negozi sono stati obbligati a chiudere e altri, quelli rimasti aperti perché operanti in settori definiti di prima necessità, a implementare procedure di sicurezza. Di fatto, uno degli effetti del lockdown è consistito in un repentino cambiamento delle modalità di acquisto dei vari beni da parte dei consumatori: una riorganizzazione del sistema che ha riguardato tutti, dal negozio di vicinato, alla GDO, fino alle piattaforme online.

Nel giro di pochi giorni si è verificato uno spostamento degli acquirenti dal luogo fisico di scambio dei beni (che si tratti del piccolo negozio, piuttosto che del supermercato) alla vetrina virtuale dell’e-commerce.

Questi dati sono riscontrabili sia nelle ricerche effettuate dalla Nielsen, aziende nota a livello globale e che si concentra sull’analisi del mondo del consumo, che indica la crescita dell’eCommerce nelle prime settimane di lockdown con percentuali davvero significative (+81,0% tra il 24 febbraio e il 1 marzo[1] fino a un +162,1% rilevato tra lunedì 23 e domenica 29 marzo[2]), e trovano conferma anche in un’indagine del Consorzio Netcomm[3] in cui “emerge che il 77% delle aziende che vende online nei diversi settori ha acquisito nuovi clienti, a dimostrazione che la crisi ha portato diversi consumatori ad avvicinarsi per la prima volta agli acquisti online”, anche se “il trend non è omogeneo: il boom negli acquisti online riguarda principalmente i beni di prima necessità”.[4] Anche le rilevazioni Istat confermano come “il commercio elettronico, unica forma di vendita in crescita, mostra un’accelerazione” ad aprile, mettendo a segno su base annua “un deciso aumento”, pari al +27,1%.[5]

All’interno di questi trend di crescita ci sono però tutti gli attori del commercio che hanno saputo utilizzare le diverse opportunità offerte dall’eCommerce, con modalità molto differenti. Chi era già presente sul web, autonomamente o attraverso piattaforme di terzi, ha potuto contare sull’esperienza pregressa e allargare più facilmente la clientela, approfittando dei nuovi consumatori sbarcati online, ristoranti e attività di somministrazione di cibi pronti hanno spesso deciso di utilizzare piattaforme di food delivery indirizzando la propria attività sul “take away”, mentre diversi supermercati si sono appoggiati a piattaforme che già gestiscono e abilitano (dal punto di vista tecnologico e operativo) la spesa online di diverse catene della GDO.

Proprio la GDO è stata oggetto di un aumento rapido e quasi improvviso della domanda, mandando in crisi tempi e modalità di consegna a domicilio[6], con un ritardo di diversi giorni (in alcuni casi settimane) e difficoltà persino nella gestione degli ordini e delle prenotazioni[7], rendendo di fatto vano il servizio di spesa online, che prima dell’epidemia rappresentava una nicchia del tutto marginale sul totale dell’incasso dei super e ipermercati.

Ma ciò che per noi è più rilevante è notare come, in un frangente come questo e a differenza della GDO, il commercio di vicinato abbia saputo spesso riorganizzarsi, anche superando storiche diffidenze e un certo conservatorismo. Da un giorno all’altro è diventato fondamentale trovare un modo nuovo per mantenere i rapporti con la clientela tradizionale e, allo stesso tempo, tentare di intercettare una domanda nuova, composta da tutti coloro che, per vari motivi, pur risiedendo in una data zona, non erano abituati ad effettuare lì i propri acquisti.

La velocità è diventata un’arma fondamentale e, in diversi casi, le dimensioni ridotte o addirittura l’assenza di qualsivoglia catena di comando interna ha permesso una velocissima riorganizzazione.

Abbiamo visto come, almeno in parte, “i piccoli negozianti abbiano compreso che in questa fase è cruciale ripensare completamente il proprio modello di business” così da poter reagire al minor numero di accesso nei negozi, alle limitazioni legate ai divieti di assembramento e mantenimento delle distanze. Sicuramente la gestione delle prenotazioni e la revisione degli orari di apertura saranno necessari, inoltre, “le consegne a domicilio possono rappresentare la sopravvivenza per i piccoli negozi e per i box dei supermercati rionali, ma richiedono di dotarsi di almeno un minimo di capacità di e-commerce (come complemento al canale tradizionale), o almeno di delivery, o di delivery di prossimità – quest’ultimo candidato a essere un interessante nuovo formato”.[8]

È emersa l’importanza di poter disporre di una rete capillare e diffusa di commercio al dettaglio, capace di rispondere alle esigenze di chi abita in una determinata porzione di territorio, rafforzando peraltro quell’antico rapporto fiduciario tra esercente e consumatore. I piccoli esercizi devono però rivedere la propria organizzazione, modificare gli orari di apertura o prolungarli attraverso modalità inedite, a partire dai sistemi di delivery di prossimità e punti di raccolta (click&collect, drive&collect, gestione di ordini online in store, ecc,) e procedere verso l’integrazione tra online e offline. Se tutti speriamo che sia ormai alle nostre spalle la drammatica fase emergenziale legata alla pandemia, sappiamo però che le nuove abitudini di acquisto maturate durante il lockdown e il permanere di alcune limitazioni per ragioni di sicurezza sanitaria stanno portando a quella che spesso viene definita la “nuova normalità”. Il consumatore avrà una maggior propensione agli acquisti online e al mantenimento di alcune comodità acquisite nei mesi scorsi, tra cui l’home delivery, rifornendosi però, si spera, anche presso il proprio negoziante di fiducia.

eCommerce: il caso laspesaservita.it

Un esempio importante di riorganizzazione del commercio emerge dal progetto “Borgo San Paolo +smart”, sviluppato a Torino nel quartiere San Paolo, voluto da Confesercenti di Torino e Provincia, cofinanziato dal Punto Impresa Digitale della Camera di Commercio di Torino con l’intenzione di agevolare il trasferimento tecnologico verso le micro e piccole imprese del commercio. Progetto nel quale un ruolo importante nella fase tecnologica, realizzativa e logistica è stato svolto da Links Foundation, istituto di ricerca fondato dal Politecnico di Torino e dalla Compagnia di San Paolo, e della Fondazione Torino Wireless, nata da un partenariato pubblico privato composto da numerosi attori locali.

In questo caso l’elemento forte e innovativo del progetto riguarda l’obiettivo di rafforzare il legame tra domanda e offerta nel contesto di un’area urbana oggetto di grandi cambiamenti: l’ampliamento della cittadella politecnica, la progressiva mutazione di chi frequenta il quartiere, con la sovrapposizione della popolazione residente con i nuovi arrivati, legati spesso al polo universitario e alle realtà imprenditoriali che vi si sono collocate. Un potenziale di domanda forte, che è abituato all’utilizzo di strumenti digitali, che ha tempi di vita diversi e che, non avendo necessariamente legami pregressi con la vita di quartiere, non conosce in modo approfondito l’offerta commerciale.

Tra gli obiettivi una maggiore penetrazione delle tecnologie digitali presso gli esercenti, percorsi di accompagnamento e formazione specifica, l’individuazione di possibili soluzioni di trasformazione di aree pubbliche, studi sulla logistica di ultimo miglio e la gestione condivisa di alcuni servizi, anche per giungere a una rivisitazione degli orari di apertura delle attività commerciali e alla nascita di nuovi luoghi di consegna e ritiro di vicinato, per poter raggiungere quell’utenza con orari e organizzazione della vita quotidiana non compatibili con i tempi tradizionali del quartiere.

Il progetto, le cui attività sarebbero dovute partire a inizio 2020, è stato stravolto dall’arrivo del Covid. Nel giro di pochi giorni ci si è trovati di fronte a una situazione, come sappiamo, totalmente inedita: il lockdown ha portato a una trasformazione ancora più rilevante in una zona come quella che ospita il Politecnico di Torino, che ha sospeso tutte le attività didattiche in presenza.

Mantenendo la filosofia di base del progetto, i diversi attori hanno deciso di dare una risposta immediata all’esigenza di creare un nuovo modo di incontro tra domanda e offerta, ovviamente puntando tutto sulla rete. È nato così il portale laspesaservita.it che nel giro di pochi giorni ha raccolto quasi 1500 negozi dell’area metropolitana torinese che, in periodo di lockdown, si sono attrezzati per ricevere ordini ed effettuare in tempi rapidissimi la consegna a domicilio.

Per avere un’idea della localizzazione e delle tipologie di prodotti reperibili sul portale riportiamo qui alcuni dati sintetici: circa un terzo dei negozi registrati si trovano a Torino, mentre il restante migliaio è sparso su 90 Comuni della Città Metropolitana, con poche isolate presenze al di fuori dei confini della ex Provincia. Per quanto riguarda i settori merceologici di riferimento, 718 sono gli esercizi del settore food, 406 non food, 217 attività di preparazione e distribuzione di cibi pronti e pasti caldi, 60 le farmacie e i negozi di prodotti per l’igiene, 40 i minimarket e i supermercati di prossimità.

L’infrastruttura informatica e i dati hanno richiesto pochi giorni di tempo: mentre Confesercenti di Torino e Provincia raccoglieva le disponibilità dei negozianti e sollecitava i Comuni della Città Metropolitana a verificare quali attività commerciali davano il loro assenso al caricamento sulla piattaforma, i ricercatori di Links con il supporto di Torino Wireless hanno costruito lo strumento web che oggi è ancora visibile ed attivo.

Un sistema semplice di ricerca, attraverso alcuni criteri immediati, che vanno dal settore merceologico, alla distanza, al CAP di riferimento, al Comune in cui è localizzato l’esercizio. La piattaforma, volutamente molto leggera, punta tutto sull’agevolare il collegamento diretto tra commercianti e consumatori, indicando le modalità preferite di contatto.

La piattaforma è stata lanciata a fine marzo, in una fase ancora di profonda incertezza e senza un orizzonte temporale chiaro di riapertura delle attività commerciali, quando le limitazioni agli spostamenti erano pienamente in corso. L’interesse è stato molto elevato, sia da parte degli esercenti che dei potenziali clienti, nonostante una campagna stampa che, seppur presente, non ha avuto a disposizione risorse particolari per poter “spingere” la piattaforma.

Sono emersi alcuni elementi, verificabili anche dai dati di accesso e permanenza sul sito: la “frequenza di rimbalzo” ovvero il numero di coloro che approdano al sito ma lo abbandonano rapidamente è bassissima, la durata media della sessione è alta, tanto da portarci ad affermare che il sito è stato ritenuto utile in 9 casi su 10, in funzione dei dati disponibili analizzati.

Una visita al sito su sei è approdata a uno degli obiettivi definiti, ovvero la visita al sito web della singola impresa, l’avvio di una telefonata direttamente dal link sul sito, ecc. Se si tiene conto che 2/3 circa degli accessi alla piattaforma arrivano da PC e solo 1/3 da smartphone, è verosimile immaginare che il tasso di successo sia ancora più alto, non potendo, ad esempio, attivare la chiamata telefonica da computer.

Peraltro questi dati vengono confermati anche dai commercianti aderenti che, rispondendo a un primo questionario rivolto a un campione di aziende, stanno segnalando un elevato livello di soddisfazione: su 100 imprese che hanno partecipato alla survey il 52% indica che la presenza su laspesaservita.it ha permesso di raggiungere nuovi clienti, il 69% valuta positivamente il posizionamento sulla piattaforma per la sua azienda, ma soprattutto il 37% ha notato un incremento numerico della clientela.

Sono dati grezzi che andranno approfonditi e analizzati con maggiore attenzione con il passare del tempo, ma sono decisamente incoraggianti, soprattutto perché indicano una rinnovata disponibilità a rivolgersi presso esercizi di vicinato da parte della clientela e confermano la capacità quanto meno di una parte del settore commerciale tradizionale di riorganizzarsi e di rispondere efficacemente alle richieste mutate in funzione dell’emergenza.

È evidente che, con il graduale ritorno alla normalità, tutto può essere rimesso in discussione e i diversi attori del commercio proveranno a riposizionarsi e rafforzare la propria offerta in modo da recuperare l’eventuale terreno perso e chi, come la GDO e i principali player dell’e-commerce, ha maggiori risorse a disposizione tenterà politiche più aggressive, con il rischio di lasciare nuovamente in una situazione di marginalità il commercio di vicinato.

Ma come ci ha insegnato bene il periodo appena passato, un forte tessuto di micro e piccole attività commerciali riesce a garantire un servizio di qualità ed è capace di raggiungere, di fatto, tutti gli abitanti di un dato territorio in tempi brevi. In tutto ciò riemerge e si rafforza anche un ruolo strategico e di coordinamento dell’associazionismo di categoria nella costruzione di progetti integrati e nella rappresentanza dei soggetti economici più piccoli, fragili e frammentati: senza un ruolo attivo da parte di Confesercenti di Torino e Provincia nella raccolta dei dati e dei contatti degli esercenti e nella diffusione delle informazioni relative al progetto laspesaservita.it ai Comuni, non si sarebbero mai ottenuti gli stessi risultati.

Conclusioni

Il settore del commercio continuerà a evolversi e a cambiare, non c’è dubbio. Questi mesi appena trascorsi ci hanno però confermato che i negozi di prossimità sono un presidio economico e sociale fondamentale e irrinunciabile e che spesso hanno grandi capacità di riorganizzazione e trasformazione.

Sappiamo altresì che il commercio sarà sempre più multicanale e che il delivery e l’ampliamento degli orari di apertura o di accesso ai servizi saranno due elementi di forza su cui puntare.

Infine, possiamo affermare che ci sono spazi da esplorare nel campo dell’innovazione e del trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca a quello dei settori economici tradizionali e che, anche da qui, passerà il ripensamento delle città del futuro, compreso quel futuro così prossimo da essere ormai già arrivato.

  1. https://www.nielsen.com/it/it/insights/article/2020/coronavirus-continuano-a-crescere-gli-acquisti-nella-gdo/
  2. https://www.nielsen.com/it/it/insights/article/2020/coronavirus-si-normalizza-la-crescita-della-gdo/
  3. https://www.consorzionetcomm.it/
  4. https://www.criteo.com/it/insights/effetto-covid-19-sullecommerce-italiano/
  5. https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/06/05/istat-105-vendite-al-dettaglio-ad-aprile-tiene-il-cibo_bec6eba5-7003-422f-a925-2cd5929389fa.html
  6. https://www.wired.it/economia/consumi/2020/03/12/coronavirus-ecommerce/
  7. https://tg24.sky.it/cronaca/2020/03/21/spesa-online-domicilio
  8. https://www.ilsole24ore.com/art/i-negozi-quartiere-investono-digital-e-logistica-la-fase-2-ADR74XM

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