Roberto Garavaglia
Forse ci siamo. Un altro mattoncino è posato, per edificare quella via che porta a una maggiore diffusione degli strumenti di pagamento elettronico: ma è sufficiente?
Con il D.lgs 21 febbraio 2014 n. 21, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale[1], viene recepita la direttiva europea 2011/83/UE relativa ai diritti dei consumatori (la c.d. “CPD Consumer Protection Directive”). Il decreto, modificando il Codice del Consumo[2] all’articolo 62 (Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento), dispone che i professionisti non possano imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di tali strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista per l’uso di detti strumenti.
Le regole valgono per i contratti di vendita, i contratti di servizio e i contratti di fornitura di acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale ed entrano in vigore dal 13 giugno 2014, applicandosi ai contratti conclusi dopo tale data.
Ma sono proprio nuove, queste regole? e, sopratutto, valgono per qualsiasi strumento di pagamento? In realtà, nel novellare il Codice del Consumo, il testo appena pubblicato, richiama specificamente una precedente disposizione[3] della direttiva sui servizi di pagamento (PSD), recepita in Italia nel gennaio 2010 e in vigore dal 1° marzo di quell’anno, ai sensi della quale la Banca d’Italia può stabilire, con proprio regolamento, deroghe tenendo conto dell’esigenza di promuovere l’utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti ed affidabili.
Negli spazi di deroga che – si auspica – saranno meglio definiti in seguito, il professionista non potrà applicare comunque tariffe che superino quelle effettivamente da esso stesso sostenute. Ciò conduce, inevitabilmente, a pensare quali possano essere le spese in questione, il valore delle quali rappresenterebbe, solo per taluni strumenti, il limite massimo della soprattassa che potrebbe trasferirsi sul consumatore.
Il pensiero si sa “è come l’oceano e non lo puoi fermare” (direbbe Lucio Dalla) e, mai come in questo caso, di oceano (rosso?) forse si può trattare. Mi sto riferendo al tema, già ampiamente trattato in passato su PagamentiDigitali, del limite alle fee dei pagamenti con carta, proposto dalla Commissione Europea il 24 luglio 2013, nell’ambito della c.d. “PSD2” (ossia le revisione dell’attuale PSD).
Potrà essere questo, il tetto massimo superato il quale non sarà possibile tassare la transazione di pagamento al pagatore?
Sullo stesso (annoso) tema, come sappiamo, in Italia manca ancora all’appello il decreto ministeriale c.d. “Merchant fee” (previsto dal decreto “Salva Italia” e la cui prima bozza risale al 14 dicembre 2012), che avrebbe inteso proporre specifiche regole in merito all’applicazione delle fee per l’accettazione dei pagamenti con carte.
Riprendendo l’incipit dell’articolo, forse mancano ancora altri mattoncini a comporre la strada (maestra?), che porta a una reale diffusione degli strumenti di pagamento alternativi al contante … forse, però, si è sulla buona strada (o, se preferite, il sentiero è stato imboccato).
Concludo osservando una particolarità tutta italiana. Nel testo di direttiva europea 2011/83/UE non vi è alcun specifico riferimento alle carte di pagamento, mentre nel testo recepito dal nostro paese, compare una disposizione aggiuntiva[4]“L’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L’istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore”.
Questo particolare intervento permette di ravvisare nell’impiego delle carte di pagamento una funzionalità nativa diversa (potenzialmente “aggiuntiva” ?) rispetto ad altri strumenti alternativi al contante, una funzionalità che vede nella maggiore praticità degli aspetti legati al rimborso, un possibile asset.
NOTE
[1] G.U. n° 58 – 11 marzo 2014
[2] D.lgs 6 settembre 2005, n. 206
[3] Art.3 – comma 4 del D.lgs 11/2010
[4] Art.62 – comma 2 del nuovo Codice del Consumo