Alessandro Longo
«La storia della dematerializzazione dei buoni pasto mi ricorda in pieno quella della fattura elettronica. Stessa parabola, stessa lezione da apprendere; stesse polemiche, perlopiù sterili». Ernesto Belisario, uno degli avvocati più noti nel mondo digitale (e membro del tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana presso la Presidenza del Consiglio) commenta così le novità e il dibattito che stanno rivoluzionando i buoni pasto in Italia.
Sarebbe sbagliato liquidare il tutto come questione marginale, interessante solo per utenti finali e aziende del settore. In realtà, «la digitalizzazione dei buoni pasto ha un effetto leva a favore del digitale, sul grande pubblico, analogo a quello della fattura elettronica per le imprese», dice Belisario.
«Spingerà infatti tante altre persone a prendere le misure con il digitale, a comprendere che questo è ormai un componente inevitabile nelle nostre vite: non solo nel lavoro, ma anche nell’attività quotidiana», aggiunge. Teniamo conto che i buoni pasto sono 500 milioni l’anno, usati da 2,5 milioni di dipendenti e liberi professionisti. Ma gli elettronici sono soltanto il 15% del mercato.
Per modalità di avvio, la spinta per i buoni pasto elettronici ricorda- in particolare- quella a favore della e-fattura tra aziende private. Non obblighi (a differenza dell’e-fattura verso la pubblica amministrazione), quindi, ma incentivi.
Vantaggio fiscale e contabile. E non solo
Dal primo luglio, un emendamento della Legge di Stabilità 2015 ha aumentato il valore esentasse dei buoni pasto elettronici di 1,71 euro (da 5,90 a 7 euro). C’è quindi un vantaggio a usare l’elettronico. L’Italia, del resto, così si limita a adeguarsi alla media europea, che già da anni è sui 7 euro (dal 1998 non toccava il valore esentasse). Insomma, un intervento legislativo atteso e per certi versi scontato, anche considerando il crescente impegno dell’Italia per la diffusione del digitale su tutti i fronti.
Oltre all’effetto volano sulla cultura digitale, ci sono ovviamente i benefici diretti della digitalizzazione: proprio come con la fattura, il buono pasto elettronico si traccia con facilità.
Per gli esercenti, i vantaggi sono una gestione più rapida della contabilizzazione, che avviene elettronicamente, e quindi la possibilità di ridurre i tempi di pagamento dalla società emittente (40 giorni invece dei 120 con i cartacei); si evita anche così il rischio di furto/smarrimento dei buoni pasto.
La polemica: niente cumulo e mancanza di standard
A fronte di questo, le polemiche hanno riguardato due aspetti: uno sociale e l’altro economico-tecnologico. Secondo Codacons, la tracciabilità impedisce una pratica abituale e distorta, possibile con i buoni cartacei: la cumulabilità. L’associazione dei consumatori protesta affermando il lavoratore potrà utilizzare solo un buono pasto al giorno e solo in quelli lavorativi. Addio quindi alla massa di buoni pasto per fare la spesa- spesso per altro lo si faceva nel fine settimana.
Altroconsumo invece non condivide questa polemica, notando che le regole non cambiano con i buoni pasto elettronici, i quali quindi hanno gli stessi limiti dei cartacei. Solo che con l’elettronico è possibile fare rispettare il divieto di cumulo. Altroconsumo nota invece due altri problemi, quelli appunto economico-tecnologico: commissioni più alte sui buoni pasto elettronici, rispetto ai cartacei, e la mancanza di uno standard. Il che obbliga gli esercenti ad avere dai quattro-sei lettori per supportare tutti i tipi di buoni.
Anche Federdistribuzione e Fipe-Confcommercio condividono questi appunti.
Secondo la grande distribuzione, il problema principale sono le gare al massimo ribasso, le quali premiano le società emettitrici che fanno il maggiore sconto sul valore facciale dei buoni (si arriva al 20 per cento). Il risultato è che la società, per recuperare redditività, aumenta le commissioni a carico degli esercenti: dal 6 al 15 per cento contro il 3 pagato in Francia. La differenza con il buono cartaceo è di tre-quattro punti. Il pos di lettura non è unico, inoltre, perché ogni società emettitrice ha una propria tecnologia.
Contro l’ultima gara Consip per i buoni pasto ha fatto un ricorso al Tar del Lazio Fipe-Confcommercio. La tesi è che il capitolato di gara non dovrebbe limitarsi a fissare punteggi maggiori per chi applica commissioni basse. Le società che emettono i buoni trovano infatti vari modi per applicare costi extra: per esempio rincarano servizi aggiuntivi come quello (giudicato fondamentale dai commercianti) del conteggio dei buoni.
Per il problema dell’interoperabilità, invece, alcune società hanno già deciso di accordarsi: Qui Group, Sodexo Benefits & Rewards Services, e Day Ristoservice Group Up stanno lavorando a un lettore unico “multicard”.
«Quando si digitalizza un processo di massa, bisogna chiedersi: facciamo prima mesi e mesi di test e poi partiamo? Oppure avviamo subito lo switch off e facciamo correttivi incrementali dopo? La Storia dell’Italia digitale dimostra che il secondo approccio funziona meglio, sia se fatto con obblighi sia se con incentivi», dice Belisario. «La prima strategia porta a resistenze preconcette e gravi ritardi, come capitato con i medici prima dell’avvento dei certificati digitali. Invece funziona uno switch off fortemente assistito, come sta avvenendo con la fattura elettronica», aggiunge l’esperto, che consiglia quindi di aprire «molti canali di ascolto verso pubblico e addetti ai lavori, per promuovere i correttivi, tecnici ed economici. Necessari per far passare la digitalizzazione come un vantaggio per tutti anziché come un male necessario».