Innovazione digitale, comincia la rincorsa delle banche?

Pubblicato il 08 Feb 2017

CRIF

Domenico Aliperto

Eppur si muove. Lo sforzo delle banche per rincorrere l’innovazione portata dalle startup Fintech (il cui vero potenziale comincia a esplodere ora) pare agli occhi di molti osservatori impercettibile per una serie di motivi. Innanzitutto riprogettare strutture faraoniche, con decine di migliaia di dipendenti e centinaia di filiali sparse per il territorio è un’impresa titanica. La tecnologia ovviamente aiuta, ma è solo parte di un processo di cambiamento più ampio, che deve inoltre tener conto dei continui aggiustamenti del contesto competitivo. In secondo luogo, gli istituti finanziari si trovano in una congiuntura estremamente delicata: da una parte il giro di vite impresso dalla crisi economica e dai parametri di Basilea 3 sulla gestione delle liquidità, dall’altra un impianto regolatorio – la PSD2 – che spalanca il mercato a nuovi player, stringono le banche tra la necessità di contrastare la nuova concorrenza e l’oculatezza con cui le organizzazioni devono allocare risorse e investimenti in innovazione. «Nonostante la situazione macroeconomica non sia favorevole, l’innovazione digitale può essere opportunità per recuperare valori e risultati che tardano ad arrivare», dice Marco Giorgino, ordinario di Finanza al Politecnico di Milano. Ma si può essere ottimisti considerando che tra le prime 730 start up Fintech al mondo (alle cui spalle ci sono finanziamenti per 25,7 miliardi di dollari) solo il 5% si configura come fornitore di servizi – e quindi partner – per le banche?

«Se tutti giocheranno la loro parte, avremo un meccanismo sincronizzato con gli effetti della PSD2, che si vedranno nel 2018», dice Andrew Bud, fondatore e CEO di iProov, start up britannica specializzata nelle tecnologie di riconoscimento facciale per l’autorizzazione delle transazioni. Bud ha partecipato alla tavola rotonda attraverso la quale si sono commentati i risultati dell’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano. Una ricerca che per l’appunto ha messo in luce l’aggressività dei nuovi entranti e la prudenza degli incumbent del settore. «Ironia della sorte», continua Bud, «la Gran Bretagna, che si è sempre posta come leader del mercato finanziario, è uscita dall’Unione europea proprio in una fase tanto delicata. Ma sono sicuro che, con o senza Brexit, rispetterà comunque tutti i parametri imposti nei cambiamenti di regolamentazione. Impossibile infatti non tenere conto della rivoluzione introdotta dalle API, che coinvolge non solo i pagamenti digitali, ma anche lo storico del credito e le informazioni sui prodotti finanziari. Sarà soprattutto lì che si concentrerà la competizione con i nuovi prestatori di servizi, che continuano a innovare sperimentando tecnologie e user experience in speciali sandbox messi a disposizione dalla Competition and Markets Authority».

Paolo Geroli, ‎Payment Business Analyst di Sopra Steria, precisa che la normativa non prende specificamente in considerazione la parte tecnologica, «ma è pacifico che i nuovi servizi saranno attivati via API, il che vuol dire esporsi alle terze parti. Le banche che decideranno di agire devono pensare a un retargeting o per lo meno a una segmentazione delle propria clientela, altrimenti le principali opportunità di business rimarranno appannaggio dei soggetti non bancari».

Del resto, la PSD2 mette sotto pressione soprattutto gli ambiti commissionali legati ai pagamenti che, nota Marco Folcia, ‎Associate Partner di PwC, pesano ancora pochi punti percentuali sui margini degli istituti. «Ma è l’ambito più promettente per il futuro. Su questo e altri temi legati all’innovazione, le banche stanno cercando di muoversi per identificare soluzioni ad hoc, riconoscendo l’incapacità di sviluppare autonomamente al proprio interno prodotti e servizi che per nascere hanno bisogno di nuove collaborazioni».

Non per tutti, però è così. Aziende come CheBanca!, che si sono imposte sul mercato con offerte ‘disruptive’ ante litteram, hanno già creato l’infrastruttura interna per interagire con le start up e costruire servizi innovativi a quattro mani. «Noi stessi siamo una ex start up, e per questo abbiamo una natura meno legacy di altri istituti», spiega Matteo Rossanigo, che in CheBanca! ricopre il ruolo di Innovator all’interno di una task force esplicitamente dedicata alle nuove tecnologie. «Disponiamo di circa 1200 API, molte delle quali sviluppate in collaborazione con imprese italiane. Per noi essere open bank significa attivare flussi strategici, con operazioni che vanno pianificate oltre l’orizzonte temporale dei sei mesi. Per questo dobbiamo già essere pronti per l’arrivo della PSD2. Crediamo che le banche che hanno più da perdere nel nuovo scenario saranno quelle che si chiuderanno di più all’innovazione. Per quanto ci riguarda», conclude Rossanigo, le «API vanno ormai considerata come un prodotto alla stregua del conto corrente. Anzi, personalmente penso che che ogni istituto dovrebbe avere nel proprio ufficio Marketing un responsabile API».

Anche Intesa Sanpaolo ha dato vita a una divisione che ha il compito di indagare il futuro ed estrarre l’oro nero digitale dai Big Data. A capo della struttura c’è Laura Li Puma, che in questo ruolo riporta direttamente al CFO del gruppo, che ha creato un’infrastruttura attraverso la quale governare e valorizzare il patrimonio informativo della banca. «C’è poi l’innovation center, che accorpa sotto la stessa area di governo tutte le sfaccettature dell’innovazione digitale, e quindi le start up – Fintech ma anche Insuretech – sono il nostro pane quotidiano», dice Li Puma. «Il lavoro con loro ci permette di vedere quali ambiti dobbiamo presidiare, quali sono i rischi e le opportunità di ogni settore, che sperimentiamo con proof of concept».

È anche vero che Big Data, Artificial Intelligence e Machine Learning sono ormai buzzword di marketing del settore, come fa notare Roberto Tognoni, Partner di Reply. «Ma in quale direzione dobbiamo investire? Per non perdersi bisogna mirare a casi d’uso specifici. Anche se fino a poco tempo fa l’IT era utilizzato per automatizzare processi, mentre oggi è inserito nel cuore dei prodotti, non dobbiamo dimenticare che prima di tutto va definito il problema e poi bisogna utilizzare la tecnologia per risolverlo».

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