“Abbiamo fatto la scelta giusta quando, fin dall’inizio, abbiamo deciso di operare solo con la cosiddetta strong authentication. Perché oggi possiamo dire di non avere lasciato quelle zone d’ombra che l’Unità informazioni finanziarie (Uif) ha individuato in alcune aziende del settore”. Germano Arnò, ceo di Em@ney, commenta così il rapporto Uif diffuso da Bankitalia, che segnala un’impennata delle infiltrazioni criminali nel mondo delle transazioni finanziarie nel corso del 2016. Sul versante dell’antiriciclaggio, segnala la Banca d’Italia, le segnalazioni di operazioni sospette pervenute nel 2016 hanno segnato un aumento del 22,3% rispetto al 2015 dovuto, in parte, alle circa 21mila segnalazioni correlate direttamente o indirettamente a casi di adesione alla voluntary disclosure.
“Noi non abbiamo fatto altro che anticipare, di nostra iniziativa, quello che la normativa europea sta introducendo solo adesso come procedura obbligatoria per tutte le aziende finanziarie europee: nelle transazioni di Em@ney non c’è mai stato denaro anonimo – sottolinea il ceo dell’azienda -. Chiunque effettui una operazione con noi, sia online che presso un punto di ricarica, deve essere identificato. Mentre la normativa consentiva operazioni anonime fino a 2.500 euro. È evidente che questo ha lasciato spazio a chi utilizzava i sistemi di pagamento per fini poco puliti”.
Il quadro che emerge dal rapporto di Bankitalia aiuta secondo Arnò a delineare il confine tra le aziende che garantiscono trasparenza e legalità e quell’area nebbiosa nella quale chi vuole può agire ai limiti e oltre i limiti della legalità. Con l‘entrata in vigore della IV direttiva sull’antiriciclaggio “non ci sarà più spazio per l’anonimato”, commenta l’amministratore delegato dicendosi “dispiaciuto che alcuni passaggi del rapporto Uif siano stati interpretati da qualche testata come una critica agli istituti di moneta elettronica (Imel)”.
Al contrario, fa notare Arnò, “le autorità italiane riconoscono agli istituti un ruolo di sentinella, dato che le operazioni sospette sono state segnalate all’Uif in maniera significativa proprio dagli Imel e dagli istituti di pagamento.
Ecco perché secondo il ceo di Em@ney “c’è da chiedersi piuttosto per quale motivo la Uif, parlando sempre di IP e Imel, sostenga che non sono note le misure adottate dagli intermediari in materia di identificazione della clientela, né l’efficacia dei controlli dagli stessi posti in essere al fine di contrastare il riciclaggio e il finanziamento al terrorismo”. Un punto oscuro che comunque non riguarda Em@ney: “Adottiamo le procedure di identificazione anche per i 10 euro di ricarica delle nostre carte fin da quando siamo nati e – conclude Arnò – non capiamo per quale motivo altri intermediari debbano potere operare senza che le autorità italiane ne abbiano visibilità”.