Non è casuale che, proprio alla vigilia dell’entrata in efficacia della PSD2, la direttiva europea che più di ogni altra apre la strada a un mercato unico digitale anche nel mondo dei pagamenti, da Confindustria e in particolare dal Centro Studi dell’Associazione, arrivi una proposta ancora più radicale di digitalizzazione: la tassazione del contante.
La premessa: i presupposti di Centro Studi Confindustria
La proposta, che come è facile immaginare sta scatenando in queste ore una ridda di commenti, tra plausi e fortissime critiche, nasce dalla considerazione che nel nostro Paese la perdita di gettito fiscale e contributivo “è stimata ancora sopra ai 100 miliardi di euro, solo in parte attribuibile a grandi evasori”.
Nasce anche dalla convinzione che un maggiore utilizzo di metodi di pagamento digitale possa “far emergere gettito fiscale modificando le abitudini di spesa dei consumatori finali”.
È dunque sulla scorta di questo assunto iniziale che nasce la proposta di Centro Studi Confindustria: un nuovo quadro normativo che “incentivi all’uso della moneta elettronica e disincentivi all’uso del contante” senza oneri aggiuntivi netti per la finanza pubblica, ma anzi generando “un recupero di gettito attraverso la riduzione dell’evasione fiscale”.
Tutto parte dalla fatturazione elettronica
Secondo CSC, se è vero come è vero che dopo quattro mesi dall’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica si parla di una crescita del 5,4 per cento sul gettito d’IVA, effetti benefici potrebbero derivare anche dalla riduzione dei pagamenti in contanti.
“L’Italia è uno dei Paesi dove meno diffuso è l’utilizzo di carte di pagamento: rispetto a una media europea superiore a 100 transazioni pro-capite annue, in Italia ne vengono effettuate meno della metà”, si legge sulla nota che evidenzia come vi sia una correlazione negativa tra utilizzo della moneta elettronica ed economia sommersa.
Incentivo alla moneta elettronica, disincentivi al contante
Da queste considerazioni di partenza nasce dunque la proposta di un meccanismo che incentivi l’utilizzo della moneta elettronica e disincentivi l’utilizzo del contante, attraverso due iniziative:
- un credito di imposta del 2 per cento al cliente che effettua i pagamenti mediante transazioni elettroniche. In questo caso il consumatore dovrebbe accumulare un reddito contabilizzato e comunicato dalla banca di appoggio: il credito di imposta verrebbe applicato al momento della dichiarazione dei redditi
- introduzione di una commissione in percentuale dei prelievi da sportelli al di sopra di una determinata soglia mensile (1500 euro al mese), una forma di penalizzazione, una “commissione alla fonte da calcolarsi in percentuale del prelievo effettuato, con il cliente che rispettivamente ritirerebbe direttamente la somma al netto della commissione”.
Le reazioni
Lo studio è molto articolato e può essere consultato integralmente a questo indirizzo, nondimeno non mancano le prime reazioni.
Contraria – e nettamente – è Confcommercio che in una nota scrive: “L’impulso alla diffusione di sistemi elettronici di pagamento sicuri e tracciabili va certamente perseguita. Per questo bisogna agire anzitutto sul versante della riduzione dei costi che l’utilizzo di tali strumenti comporta a carico di consumatori ed imprese. In particolare, risulterebbe utile un credito di imposta a favore degli esercenti per le commissioni pagate per l’accettazione di carte di debito e di credito. Una tassa in più, soprattutto in un momento di perdurante stagnazione dei consumi, non ci sembra francamente una buona idea”.
Scetticismo ha espresso invece in una nota, rilasciata alle agenzie di stampa, il già ministro delle Finanze Visco, secondo il quale non è solo l’utilizzo del contante alla base dell’evasione: va posta attenzione anche alla manipolazione dei bilanci delle imprese”.