“Le banche italiane stanno lentamente tornando a crescere, e per il 2017 si prevede un recupero del Roe (return on equity, ndr) intorno al 5%, grazie ad un contesto macroeconomico più positivo e alla risoluzione di alcune tematiche che creavano incertezza, ma si tratta di livelli ben inferiori al Cost of Equity (9-10%). L’ingresso di nuovi player, l’avvento di nuovi modelli di business e il cambiamento dei comportamenti dei clienti, sempre più nomadi e digitali, ha negli ultimi anni causato una lenta ma costante erosione del valore”. Mauro Macchi, Senior Managing Director Financial Services Lead, Italia, Europa Centrale e Grecia di Accenture disegna così il quadro della trasformazione digitale del settore finanziario, commentando alcuni dati sull’impatto delle tecnologie raccolti dal colosso della consulenza.
“La condizione imprescindibile affinché le banche italiane possano riprendere un percorso di sviluppo sostenibile è quella di trasformare la propria governance, aprendosi ulteriormente alle nuove tecnologie, evolvendo verso il modello di piattaforma in grado di dare vita ad ecosistemi digitali vincenti – avverte Macchi -. La tecnologia ed il digitale sono la nuova base di partenza per conoscere il cliente e stupirlo con nuovi e significativi servizi e per accelerare la trasformazione del proprio modello di business e operativo, creando opportunità senza precedenti. Recenti analisi Accenture hanno infatti messo in luce che per accelerare l’evoluzione le banche leader nell’era digitale dovranno raggiungere un rapporto costi / ricavi del 45% e un Roe al 15% nei prossimi 5 anni”.
Le strategie “legacy” zavorrano lo sviluppo digitale
A 10 anni dall’inizio della crisi finanziaria e in piena era digitale, sottolineano i dati di Accenture, il sistema bancario è al lavoro per recuperare redditività. I risultati degli ultimi anni per le banche italiane sono stati altalenanti e segnati sia da fenomeni congiunturali, sia strutturali. Per il 2017 si prevede un recupero del Roe intorno al 5%, contro il 7% in Europa e il 12% in Nord America. In Italia questo percorso di stabilizzazione dovrebbe proseguire anche per i prossimi anni, ma comunque con livelli di redditività ben inferiori al Cost of Equity (9-10%).
Uno dei problemi principali à che gran parte del sistema è ancora impegnato sui “legacy” e le eredità del passato. Ad esempio, le rettifiche sui crediti, la ristrutturazione dei costi e della rete, la gestione della capacità in eccesso, la rigidità nella capacità di innovarsi e, non ultimo, richieste di compliance sempre più stringenti. Dopo aver attraversato una fase di “compressive disruption”, cioè di lenta, ma costante nell’erosione del valore, anche a causa dell’ingresso sul mercato di nuovi player (dalle startup del fintech ai colossi del web) e dell’avvento di nuovi modelli di business, le banche tradizionali stanno lentamente cercando di recuperando competitività.
Continuare sulla strada battuta non sarà però sufficiente per riprendere un percorso di crescita sostenibile, la cui condizione imprescindibile è quella di trasformare completamente la propria governance, smettendo di essere banche generaliste per adottare nuovi modelli di business specializzati, creando ecosistemi digitali vincenti.
Dai killer ai provider, i 4 business model emergenti
Accenture ha individuato 4 modelli di business emergenti nel settore bancario e finanziario. Il “Digital Relationship Manager”, che anticipa le esigenze del cliente e copre un ampio spettro di bisogni in maniera integrata e multicanale: questa è l’evoluzione più naturale per le banche generaliste italiane, ma pochi player potranno davvero catturare la “share of mind” del cliente e coniugarla con un modello operativo molto più agile ed efficiente. Esempi di banche europee che si stanno muovendo in questa direzione sono Nordea e BBVA. I “Category Killer”, che offrono una value proposition eccellente su una specifica area di offerta, grazie all’innovazione continua di prodotto e di servizio. Un esempio in questo ambito è quello di QuickenLoans, diventata la seconda maggiore società di mutui negli Stati Uniti. Gli “Utility Provider”, che operano in logica Business-to-Business (B2B) e one-to-many, fornendo soluzioni standardizzate prodotte su grandi volumi secondo principi di efficienza e di scala. Modello di business adottotato da Bank of New York Mellon, che si è focalizzata sul mercato B2B della gestione degli investimenti e asset, e che ora serve l’80% dei Fortune 500. E infine le “Open Platform” si concentrano sul contatto con il cliente finale, a cui propongono un’ampia gamma di prodotti di terzi. Ad esempio, la tedesca SolarisBank si definisce un’azienda tech con una licenza bancaria e mette a disposizione una piattaforma modulare dove i suoi partner offrono i più innovativi servizi finanziari.
Il bilanciamento fisico-digitale è la vera sfida anche per le banche italiane, che da un lato risentono di un elevato e dispendioso numero di filiali (50 ogni 100 mila abitanti in Italia, in confronto a 15 nel Regno Unito e 40 in Germania) e, dall’altro, non hanno ancora sviluppato un’efficace offerta digitale per il cliente. La preservazione della profondità relazionale, tipica del contatto in filiale, attraverso nuovi modelli di interazione – come ad esempio il modello di gestione da remoto – deve essere accompagnata da una maggiore produttività digitale. Ciò anche per andare incontro all’evoluzione delle esigenze dei clienti, che, secondo le ultime ricerche Accenture, in Italia si dichiarano per il 54% molto attivi sui canali digitali e aperti a nuovi modelli di fruizione dei servizi bancari. Secondo Accenture, le banche leader nell’era digitale potranno aumentare i propri ricavi almeno del 30% nei prossimi 5 anni. Alcune delle competenze più critiche per trovare questo nuovo bilanciamento fisico-digitale saranno: la gestione dei dati, dell’ecosistema e delle collaborazioni, delle persone e del lato umano della relazione, della sicurezza.
L’avanzata del fintech: problema o opportunità?
Resta da nota l’importante ruolo del fintech. Dal 2010 a oggi in questo segmento dell’economia digitale gli investimenti sono cresciuti in media del 50% all’anno, passando dai circa 2 miliardi di dollari al 2010 ai 23,2 dello scorso anno su scala globale (in Europa è andato soltanto il 10% del totale). Accenture Research ha mappato la distribuzione dei principali Hub in cui sono concentrati gli investimenti sulle Fintech: il Nord America (USA e Canada) mantiene saldamente il primo gradino del podio con 1655 deal portati a termine (fusione/acquisizione di Fintech da parte di istituzioni finanziarie) con un ruolo preponderante del distretto della Silicon Valley. A seguire il mercato britannico con Londra che guida la classifica (342 deal), seguita da Berlino (58 deal).
Finora il fenomeno fintech ha dimostrato di abilitare valore su tutta la struttura della value chain delle banche: dal settore dei pagamenti, a quello del credito, dalle assicurazioni agli investimenti e capital markets. Il 75% degli investimenti fintech compresi nel periodo 2010 – 2016 si è focalizzato però soltanto su tre aree: pagamenti, credito e investimenti. Se da una parte esistono fintech che entrano in diretta competizione con le istituzioni più tradizionali, offrendo prodotti e servizi simili, dall’altra esiste un modello in cui altre fintech ne diventano partner in grado di sviluppare soluzioni e tecnologie innovative ed efficienti, capaci di abilitare modelli di business più sostenibili, all’interno di un nuovo ecosistema digitale. Con l’intelligenza artificiale, prevede Accenture, sarà possibile semplificare e automatizzare le operazioni più semplici in modo da abbattere i costi e aumentare così i margini di ricavo per la banca.