Omnichannel, phygital, online/offline: la pandemia ha portato alla ribalta l’omnicanalità come fattore strutturale dell’economia e della società. Ma perché si parla tanto di omnicanale? La ragione è semplice: il customer lifetime value di un cliente omnichannel è sei volte quello di un cliente ecommerce e tre volte quello di un cliente retail. Il customer lifetime value è il KPI del KPI in contesti di integrazione tra canali digitali e mondo fisico.
In una economia post digitale, con un consumatore che non ha bisogno di comprare, con un percorso d’acquisto sempre più frammentato tra online e offline, con le iniziative delle Big Tech, come Apple IOS 15, a cambiare gli equilibri nella gestione della privacy e nella condivisione dei dati, le aziende si trovano a dover gestire una mole crescente di dati, senza aver tempo di approntare nuove soluzioni per anticipare un cambiamento così rapido. La priorità delle aziende rimane quella di aumentare la redditività dei canali di vendita, riducendo i costi di servizio. E quando si parla di vendite, tutti pensiamo al CRM, strumento e divisione chiave per l’area marketing e vendite. In questa nuova era di “prossimità digitale”, con il potere al consumatore, cosa succederà al CRM?
La prossimità digitale del new normal
Facciamo un passo indietro, analizzando come la pandemia ha cambiato percorso decisionale e di acquisto. Oggi che non c’è più distinzione tra canali digitali e mondo fisico, tutti si aspettano risposte di aiuto pratico. Subito. Responsive rispetto al momento. Emerge il potere dell’immediatezza: siamo abituati da Google che sa quello che cerchi, Facebook conosce quello che ti piace, Amazon sa quello che compri.
La maggior parte delle aziende sembra invece fuori tempo. I software enterprise, a partire da CRM e marketing automation, non sono in grado di gestire il valore sociale dei dati, soprattutto in caso di engagement omnicanale. Però ora la sopravvivenza di ogni azienda passa per la capacità di migliorare le vendite e ridurre tempi e costi, personalizzando l’attività nei confronti di ogni utente, come fanno Amazon, Google e Apple.
Le aspettative del consumatore sono diventate fluide tra categorie di prodotti ed aziende: nessuno compara più l’esperienza solo tra due aziende dello stesso segmento, se invece la consegna del pacco è in ritardo, il primo pensiero è “…Amazon invece lo gestisce così…”. Non si tratta più solo di experience, ma di continuità aziendale, le aziende leader nel proprio segmento lo sono a livello di prodotto, di servizio, di soddisfazione del consumatore portando a uno scenario dove “winners take it all”: se l’azienda non innova continuamente, per rimanere tra i primi 3-4 leader di settore, finisce automaticamente sul fondo, tra chi lotta per la sopravvivenza quotidiana. E il comportamento decisionale del cliente continuerà a cambiare in modo imprevedibile come reazione all’incertezza del periodo.
Omnicanalità: i dati riducono la complessità?
I dati non semplificano la complessità. Infatti, solo il 7% delle aziende dichiara di essere in grado di estrarre valore dai dati, secondo gli Osservatori Digital Innovation Omnichannel Customer Experience. Ad esempio, nel digital marketing, le fonti di dati sono passate da 8 nel 2020 alle 14 previste per il 2022 (Salesforce State of Marketing, 2021). La stessa ricerca evidenzia come la gestione della omnicanalità porta in primo piano priorità come servire e ingaggiare il consumatore in real time, con una experience coerente sui diversi touchpoint. Ecco dove il CRM inteso come molte aziende fanno tuttora – …sono sotto con le vendite, ho un nuovo prodotto da lanciare …andiamo a chiedere un invio al CRM – non basta più. La gestione omnichannel di successo non si costruisce intorno a obiettivi di vendita, processi organizzativi o tecnologie. Marketing, vendite e servizio omnicanale sono nativamente customer-centric, data-driven e fondate sulla personalizzazione.
Infografica Osservatorio Omnichannel Customer Experience
Non esiste quindi omnicanalità, senza utilizzo dei dati in real time. Non solo, i dati devono essere verificati, unificati, trasformati in insights di valore e “azionati” sui diversi touchpoint. Ecco perché le campagne CRM sembrano sempre più spesso spam agli occhi del consumatore. L’engagement di marketing e vendite omnicanale non si costruisce sugli obiettivi di vendita, ma sulle preferenze del consumatore. Il “fardello” dei dati è sempre più una percezione da contesto multichannel, perché affrontare un decisore che è omnicanale per definizione con un approccio multicanale, continuando a rincorrere la proliferazione di canali e touchpoint aggiunge solo nuovi costi e complessità per la tenuta dei dati – senza generare un visibile ritorno. Ma questo è lo stadio di maturità digitale di molte aziende in Italia.
Ogni stagione le aziende aggiungono nuovi canali, iniziative e contenuti, perché sono richiesti dal mercato e si trovano sulle spalle nuovi costi di gestione, e spesso una tonnellata di email e ticket da gestire.
Il tema non è secondario: le aziende mancano di strumenti che rispondano al cambiamento dei bisogni del consumatore. Nella maggior parte dei casi, utilizzano applicazioni business che lavorano solo su dati storici e incompleti. In periodi di forte cambiamento, i dati storici non riflettono adeguatamente gli scenari decisionali che servono all’azienda, che invece avrebbe bisogno di nuove soluzioni capaci di tradurre dati e segnali in azioni immediate.
Considerato poi che i dati sono l’unica risorsa che tutte le aziende già hanno in casa, una risorsa che si autorigenera perché l’uso dei dati non li consuma, anzi crea nuove possibilità di utilizzo risulta chiaro quando la possibilità epocale del PNRR sia imperdibile per far fare un salto alle nostre aziende. Ne vale la pena? Dati di Accenture misurano in sei volte (+650%) l’aumento di redditività tra aziende leader ed aziende che rimangono.
Il valore sociale dei dati in contesti omnicanale
Ma allora non ha senso ripensare l’utilizzo dei dati per evitare l’omnichannel dilemma? Proprio il recovery plan rappresenta l’opportunità di fare un salto dal digitale di base a una maggiore maturità digitale; trasformarsi in logica omnichannel significa sfruttare l’algoritmo più potente: le abitudini della gente.
L’uso dei dati non è più dashboard e sistemi, non si tratta più di integrare tecnologie tra di loro, ma di integrare meglio la tecnologia nelle abitudini che sono cambiate.
La pandemia ha dimostrato che tutte le aziende sono aziende tech. La tecnologia ha oramai un posto in ogni azienda perché abilita casi d’uso altrimenti non possibili o accelera la produttività dell’attività. La normalità omnicanale pone però sfide nuove:
- il percorso decisionale è sempre più frammentato su touchpoint diversi: salvaguardare l’attenzione di consumatori e decisori richiede conversazioni continue, personalizzate, contestuali e intelligenti, invece che una comunicazione one-way
- marketing, vendite e service diventano sempre più account-based, integrate quindi in una logica di erogazione di valore su una relazione personalizzata
- creare valore richiede un approccio ibrido, ben gradito al decisore anche nel B2B, che è invece complesso per l’organizzazione dell’azienda.
Una nuova gestione del dato è parte integrante di questo nuovo approccio al business, che chiamiamo revenue intelligence. La revenue intelligence si compone di:
- customer intelligence
- omnichannel management
- data activation
La revenue intelligence è il risultato dell’evoluzione omnicanale delle aspettative di consumatori e dipendenti. Fare revenue intelligence significa accelerare la personalizzazione con customer intelligence, smart interactions sui diversi touchpoint e relazioni personalizzate.
La relazione diventa personalizzata su ogni touchpoint e in ogni momento del customer journey, perchè il customer lifetime value si costruisce creando una relazione migliore, che diventa trust, che diventa business ricorrente. Helping is the new selling è il mantra di un engagement di aiuto in real time, customer-first, fortemente guidato da valori alla base degli ESG, che diventano il collante della condivisione di dati di prima parte.
Il passaggio da big a small data
La tendenza è confermata anche da Gartner che nei Trends per Data e Analytics 2021 individua il passaggio da big a small data, il dato di prossimità che abilita casi d’uso di un’intelligenza artificiale più smart, senza limitazioni di dimensione dei dataset, centrata sulla contestualizzazione e sulla personalizzazione.
Passare alla revenue intelligence significa affiancare ai propri processi nuove versioni avanzate sulla base di sperimentazioni lungo il customer journey. I KPI cambiano con gli obiettivi di business, ma i risultati di chi lo fa sono, in genere, a doppia cifra. Questo esempio sull’utilizzo delle promozioni personalizzate porta ad un incremento del ROI del 200% (fonte: BCG).
D’altronde tutto il budget investito in paid ads con le Big Tech suona quasi “affitto” di dati: le aziende pagano costi di acquisizione crescenti, totalmente soggette alle scelte di Google, Facebook e Amazon che monetizzano le stesse audience anche sui tuoi competitor. Non è quindi tema di cookie di terza parte o meno, siamo già nello scenario dove l’attivazione del consumatore è la ragione dietro alla condivisione continua di dati.
Conclusioni
Ogni momento di interazione è esperienza di business, anche dopo l’acquisto, come dimostrano gli sforzi nel delivery experience management, perché la corretta e puntuale consegna del prodotto è parte degli elementi di valutazione del consumatore.
Non è così semplice. La maggior parte delle aziende combatte ancora con una divisione funzionale tra marketing, vendite e customer service, che crea silos di dati. L’evoluzione al cloud sembra una soluzione nell’immediato, ma le abitudini, i processi, le applicazioni in uso nelle funzioni creano silos alti come muri. Marketing e vendite insistono su canali “owned” scontrandosi con la difficoltà di gestire consumatori che si muovono cross-channel o in contesti fuori dal controllo aziendale (pensiamo alle comunicazioni su Whatsapp con chi ne influenza la scelta). State of Personalization Report di Twilio rileva che l’85% delle aziende sostiene di fornire esperienze personalizzate, mentre la maggior parte dei loro clienti la pensa diversamente. Infatti, personalizzare la prima riga della newsletter con il nome del destinatario non è quello che il consumatore del 2022 si aspetta come esperienza personalizzata.