Apple Pay, luci e ombre dopo lo sbarco nel Regno Unito

Pubblicato il 27 Lug 2015

Domenico Aliperto

A circa due settimane dal lancio di Apple Pay nel Regno Unito è già tempo di fare i primi bilanci. Sulla diffusione dello strumento, sulla sua usabilità, sugli ambiti in cui ha avuto più successo e su quelli in cui ha faticato ad affermarsi. La prima considerazione da fare è che, come ampiamente previsto, la killer app per l’utilizzo della piattaforma è il trasporto pubblico, che nel caso specifico della metropoli britannica era ampiamente predisposta all’arrivo del sistema di Cupertino: il network contava infatti già più di 41 milioni di viaggi pagati con carte di credito e debito contactless. Più delle blasonate insegne del retail, più delle catene di ristoranti e fast food, è stata dunque TFL (Transport for London) a registrare il maggior numero di adesioni al servizio offerto a partire dal 14 luglio. Non ci sono in realtà dati ufficiali a certificare le performance, ma una ricerca di Brandwatch che, analizzando l’andamento delle discussioni sui principali social media, è riuscita a definire se non le dimensioni almeno le proporzioni del fenomeno, e anche a tracciare una prima misurazione qualitativa della percezione della piattaforma da parte degli utenti.

TFL è quindi saldamente in testa alle menzioni dei londinesi, seguita a una certa distanza da Tesco, Pret, Waitrose e McDonald’s. Il sentiment sull’utilizzo di Apple Pay per il servizio di trasporto pubblico è però contrastante, diviso equamente tra pareri positivi e commenti negativi (soprattutto rispetto al confronto con la travelcard prepagata Oyster, reputata più veloce), che rappresentano invece la netta maggioranza per quanto riguarda Tesco. Pollice in su invece per i marchi della ristorazione McDonald’s, Pret e Starbucks e addirittura entusiasmo all’unanimità per il modo in cui le caffetterie Costa hanno gestito l’adozione della nuova piattaforma.

Batteria sempre carica, un punto dolente dell’iPhone anche per i pagamenti

La situazione è comunque in continuo assestamento. Se da una parte i consumatori provano e valutano il nuovo servizio, dall’altra i merchant sono costretti a una serie di aggiustamenti e precisazioni sull’uso di Apple Pay. Il caso più eclatante riguarda ancora una volta TFL. L’azienda dei trasporti ha dovuto precisare che i viaggiatori devono premunirsi di avere sempre le batterie dell’iPhone cariche quando salgono sui mezzi pubblici. Nel caso in cui un utente venga sorpreso da un controllore con il device utilizzato per pagare il biglietto scarico, scatta automaticamente la multa come se si fosse sprovvisti di titolo di viaggio. TFL inoltre raccomanda di tenere separato l’iPhone dalla carta Oyster, così come da qualsiasi altra tessera che il sistema potrebbe riconoscere come metodo di pagamento contacless, per evitare addebiti multipli.

Ma si consiglia anche di usare lo stesso dispositivo su ogni singola tratta. In altre parole, se si attraversano i tornelli della metropolitana tappando con l’Apple Watch, è bene uscire dalla rete passando sul sensore ancora lo smartwatch e non il telefono, altrimenti si incorre di nuovo nel rischio di una transazione multipla. Questo perché ogni operazione non è autenticata dall’ID dell’utente o dal numero di carta di credito associata al conto Apple Pay, ma da un token che fa univocamente riferimento al dispositivo.

Insomma, se è ancora troppo presto per parlare di successo o di interfaccia azzeccata, una cosa è certa: Apple Pay sta già facendo parlare parecchio di sé, e se riuscirà a imporsi non sarà tanto per l’approccio rivoluzionario al pagamento contactless, quanto per l’evoluzione che offre nella comodità della user experience quotidiana, al netto dei primi inevitabili intoppi dovuti a un’adozione che, con tutti i limiti del caso, è tutto fuorché di nicchia.

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