Fra incentivi e sanzioni quale strategia adottare per lo sviluppo dei pagamenti elettronici in Italia?

Pubblicato il 17 Mar 2015

Roberto Garavaglia

Innovative Payments and blockchain Strategic Advisor

Roberto Garavaglia

L’imbrunire è un momento particolare della giornata in cui tutto appare improvvisamente “liquido”; forme e contorni si dileguano, proponendo una percezione gestaltica della realtà, che obbliga uno sforzo ricognitivo non semplice.
Così è il momento che vive, oggi, lo sviluppo dei pagamenti elettronici in Italia. Nel corso delle ultime settimane, Governo e Parlamento hanno dato segnali che meritano di essere analizzati, sotto il profilo dell’effettiva efficacia.

Con questo articolo, chi scrive vuole conseguire due obiettivi: fissare lo “stato dell’arte” in materia di iniziative legislative Italiane, condotte sino ad oggi per sviluppare l’uso di strumenti di pagamento elettronico, offrire al lettore un’occasione per riflettere sulle possibili strategie di incentivazione dei mezzi di pagamento innovativi alternativi al contante.

Ma procediamo con ordine e iniziamo con il riassumere quanto accaduto in questi giorni, non senza ricordare in sintesi le “puntate precedenti” della saga che narra del “presunto obbligo POS”, per poi approdare alla valutazione strategica di alcuni possibili interventi.
Nelle puntate precedenti …

PagamentiDigitali ha dedicato molto spazio al tema ed i lettori ricorderanno che, in attuazione a quanto previsto dal decreto c.d. “sviluppo-bis” dell’ottobre 2012, dal 30 giugno 2014 è in vigore la norma che impone a esercenti e professionisti di accettare pagamenti elettronici, senza tuttavia prevederne alcuna sanzione. Da ciò si interpreta che esercizi commerciali e professionisti, non sono di fatto obbligati, bensì onerati dal dotarsi di opportuni strumenti, che permettano di accettare il pagamento con carte di debito.

Attese le forti pressioni da parte delle Associazioni di categoria, il Governo aveva dunque avviato, nel luglio dello scorso anno, un Tavolo di confronto nel quale discutere la possibilità di intervenire sui costi legati ai pagamenti elettronici.

Il 29 luglio 2014, con la Risoluzione 8/00070, la Commissione Finanze della Camera impegnava il Governo:

“[…] ad assicurare un abbattimento dei costi fissi del terminale POS, eventualmente anche mediante forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito d’imposta[…]”

ed il 5 novembre 2014, in occasione di un’interrogazione relativa alla suddetta Risoluzione 8/00070, il Governo rispondeva che,  con riferimento al Tavolo di Lavoro del MISE, lo stesso avrebbe proseguito i propri approfondimenti sugli effetti prodotti dal decreto sul mercato “[…]sia in termini di volumi sia di prezzi […]” organizzando ”[…] ulteriori incontri, in particolare con le organizzazioni di categoria dei commercianti, degli artigiani e dei professionisti, per condividere i risultati di questo monitoraggio e per favorire una più ampia diffusione dei pagamenti elettronici nel nostro Paese e una corretta ripartizione dei costi e dei relativi benefici tra tutti i soggetti interessati”.
Il menzionato Tavolo, avrebbe potuto anche costituire l’occasione per valutare una “possibile introduzione di sanzioni o interdizioni in caso di inadempienza” per coloro i quali non si fossero adeguati alla norma, mentre, con riguardo al tema dei costi “[…] un’ipotesi di proposta normativa agevolativa che potrebbe essere strutturata attraverso il meccanismo del credito d’imposta (a regime)”, sarebbe stata, parimenti, oggetto di valutazione.
La Delega Fiscale: gli incentivi/disincentivi previsti … e rinviati nell’attuazione

Durante il percorso poc’anzi riassunto, in realtà, non avrebbe dovuto sfuggire che, in tema di incentivi e disincentivi, la legge dell’11 marzo 2014, ossia la c.d. Delega Fiscale, aveva già posto specifica attenzione, prevendendo, all’art.9, l’introduzione di “disincentivi all’utilizzo del contante, nonché incentivi all’utilizzo della moneta elettronica”.

Per l’articolo in parola (così come per le altre disposizioni della stessa Legge), il Governo avrebbe dovuto dare attuazione mediante opportuni decreti delegati, da presentare entro il 27 marzo 2015.
Con un emendamento al decreto sull’IMU agricola (D.L. n. 4/2015), presentato dal Governo e approvato in commissione Finanze del Senato il 18 febbraio scorso, sono però stati prorogati i di ulteriori tre mesi, i termini di scadenza per presentare i suddetti decreti delegati della Legge 23/2014.

Il differimento al 27 giugno 2015 della scadenza entro cui avrebbe dovuto essere attuato –anche- l’art 9 della Delega Fiscale, se, da un lato, permette di auspicare un migliore e più efficace intervento del Governo, dall’altro introduce non poche incognite sull’effettivo percorso che l’esecutivo intenderà percorrere.
Disegno di Legge relativo all’obbligatorietà del POS che introduce incentivi e sanzioni (DDL N°1747)

Ed eccoci all’ultimo (?) atto della “saga”.

Il 22 gennaio scorso, è stato presentato in Senato un Disegno di Legge[1] su iniziativa di quattro parlamentari, che propone, per gli esercenti “onerati” dal suddetto decreto “sviluppo-bis”, l’introduzione di benefici fiscali derivanti dall’uso di strumenti di pagamento elettronici, consistenti nella detrazione dall’imponibile reddituale del costo percentuale di ciascuna transazione, eseguita mediante i medesimi strumenti alternativi al contante.

Ma, la proposta in parola, avanza altresì un’ipotesi sanzionatoria, per gli esercenti che non si siano muniti di strumenti di pagamento elettronici per gli incassi superiori a 30 euro. L’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo pari 500 Euro, con obbligo di adeguarsi alle vigenti previsioni normative in materia entro trenta giorni, è quanto sostanzia il Disegno di legge. Qualora il soggetto professionale sanzionato non dovesse entro 60 giorni dalla notifica aver provveduto in tal senso, è irrogata a suo carico una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio dell’importo iniziale (ossia 1.000 Euro), con termine di ulteriori 30 giorni per conformarsi alle previsioni normative. Un’eventuale inadempienza che, allo scadere dei 60 giorni di cui sopra, fosse rilevata, porterebbe alla sospensione dell’attività professionale e commerciale sino al completo adeguamento alla normativa in materia, sarebbe disposta dalla Guardia di Finanza.

Giova ricordare che, tale ultima proposta, s’inscrive – come detto – nel contesto di un disegno di legge e che, pertanto, per essa vale il normale iter legis previsto dall’attuale Costituzione (c’è tempo, … dunque).
Sanzioni o incentivi (e, soprattutto, incentivi per chi?)

Come è facile intuire, la breve narrazione dei fatti sin qui occorsi, lascia perplessi sul reale e concreto percorso – qualunque esso sia e qualsiasi direzione lo stesso voglia indirizzare – che il Governo intenderà intraprendere, al fine di attuare un’effettiva strategia di sviluppo degli strumenti di pagamento alternativi al contante.

Strategia. Questo è forse il termine su cui è opportuno soffermarsi nella nostra analisi.

Chi scrive è, da sempre, convinto che la sola e semplice imposizione di sanzioni, rappresenta un mero espediente tattico; a lungo termine, se non s’introducono anche forme di premiazione per i più virtuosi e di incentivazione per i più scettici, è davvero improbabile che l’obiettivo sottostante la norma, ossia la diffusione massiva dei sistemi di pagamento elettronico, sia realmente conseguito.

Sul tema incentivi, penso altresì che non sia bastevole un’attenzione rivolta solo agli esercenti, bensì debba potersi prevedere un appannaggio anche per i consumatori, ad esempio tramite l’applicazione di benefici fiscali per coloro che pagano con strumenti innovativi,  un po’ come è avvenuto in Corea del Sud che, tra le diverse iniziative promozionanti i sistemi di pagamento elettronico, si annovera una deduzione sull’IVA per i big  digital spender, ossia quei  consumatori che spendono più del 10% del loro reddito con carte di pagamento.

In un mercato “two sided” come quello dei pagamenti, fortemente esposto agli effetti delle esternalità di rete, è quanto mai necessario interrogarsi (prima) sulle conseguenze (di qualsiasi segno) che, azioni condotte su uno dei due lati – p.e. quello degli esercenti, tramite l’applicazione di incentivi – producono sull’altro, ossia quello dei consumatori che vorrebbero/potrebbero pagare mediante strumenti digitali.

Probabilmente, agire ad appannaggio di una sola parte, produrrebbe benefici che non si distribuiscono a favore dell’intero mercato, vanificando l’intento finale, ossia l’adozione massiva e l’uso e pervasivo di mezzi di pagamento digitali.
Ad esempio, se si introducessero – realmente – sanzioni per i commercianti che non si adeguano all’obbligo di “dotarsi di adeguati strumenti di pagamento elettronici per pagamenti superiori ai 30 euro” e, di converso, si proponessero solo benefici fiscali per gli esercenti più virtuosi, probabilmente si otterrebbe l’effetto di stimolare unicamente il mercato dell’offerta (i.e. i produttori degli “adeguati strumenti di pagamento elettronici” richiamati dalla norma). Ma la domanda, intesa come richiesta effettiva da parte di chi acquista con mezzi alternativi al contante, non sarebbe in alcun modo spronata.

Diffondere la cultura dei pagamenti elettronici, significa investire anche sui potenziali digital spender, ovvero incoraggiare l’uso dei pagamenti digitali anche presso chi ne potrà domandare l’adozione. Significa pensare ad iniziative concrete di remunerazione, anche lato consumatori, atte ad incentivare la scelta alternativa al contante.
A tal proposito, a complemento dell’applicazione di benefici fiscali per coloro che pagano con strumenti innovativi ricordata più sopra (stile Corea del Sud), penso che una possibile ed efficace strategia, potrebbe individuare nel riconoscimento di un appannaggio  “istantaneamente percepibile” un potente facilitatore. Significa, ad esempio, premiare il consumatore digitale con crediti spendibili all’interno di un circuito privato di esercizi commerciali (la c.d. remunerazione in virtual currency[2]) o riconoscergli un cash-back[3].

Una domanda sorge spontanea: chi potrebbe sussidiare detti incentivi? Tra alcune delle risposte che, a mio avviso, penso si possano offrire, annovererei il coinvolgimento degli stessi esercenti, secondo un criterio di ripartizione dei benefici ottenuti sul proprio fronte.
In pratica, se fatto 100 l’incentivo che l’esercente percepisce, sotto forma di detrazione dall’imponibile reddituale del costo percentuale di ciascuna transazione, eseguita con strumenti di pagamento elettronico, 50 fosse trasferito sull’acquirente digitale, nella forma di un appannaggio spendibile successivamente, l’esercente avrebbe maggiore interesse a promozionare l’uso di un pagamento alternativo al contante, individuando nel medesimo un strumento di fidelizzazione. Per contro, lato consumatore, si avrebbe uno stimolo all’impiego di mezzi di pagamento innovativi, che premierebbe, nel contempo, sia la scelta di quell’esercente che adotta il sistema premiante sia l’adozione ripetuta e continuativa del mezzo digitale stesso.

Come dianzi premesso, è ovviamente un’ipotesi, quella di coinvolgere l’esercente nella ripartizione dei benefici ottenuti; un’altra possibile alternativa, che agirebbe sul lato compratore, potrebbe vedere l’introduzione di benefici fiscali, per chi investe nei sistemi di incentivazione a supporto dello sviluppo dei mezzi di pagamento elettronico. In questo caso, il beneficio andrebbe ad appannaggio di coloro i quali emettono e gestiscono strumenti di pagamento alternativi al contante, impiegabili presso una pluralità di esercizi commerciali (la più ampia possibile): prestatori di servizi di pagamento, circuiti di pagamento, provider di digital wallet, terze parti (fra cui ricomprenderei i DPA[4]). La conditio sine qua non, è, ovviamente, che il beneficio non sia trattenuto dagli stessi soggetti destinatari, bensì sia trasferito, almeno in parte, sul consumatore.

Mi avvio a concludere questo mio articolo, osservando che, inevitabilmente, qualsiasi sistema d’incentivazione si voglia progettare (anche a fra quelli che, nell’economia di questo pezzo, non ho potuto includere) deve poter essere sostenibile; una sostenibilità che deve coinvolgere, nella propria valutazione, tutti gli stakeholder in gioco (pubblico-privato) in una logica di ecosistema. Penso che, su questo aspetto, si debba e si possa ancora riflettere, ricercando un catalizzatore efficace o, meglio, una strategia di catalizzazione del cambiamento, tale da potersi dire “resiliente”, ossia capace di mantenere la propria struttura di obiettivi e finalità, a fronte dei cambiamenti che, anche per essa stessa, si produrranno.

NOTE

[1] “Disposizioni relative all’obbligo per i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, di dotarsi di adeguati strumenti di pagamento elettronici per pagamenti superiori ai 30 euro”

[2] Con “virtual currency” si riferisce, in questo contesto, alla possibilità di emettere buoni sconto digitali la cui spendibilità è limitata a un singolo gruppo di esercenti predefinito, ossia il medesimo presso cui vengono incentivati gli acquisti con sistemi di pagamento innovativi

[3] Con cash-back s’intende il processo di premiazione che consiste nel “ritornare” al consumatore un credito immediato (corrispondente ad esempio allo sconto sulla spesa effettuata), spendibile presso un generico circuito.  Il tema del cash-back pone l’attenzione su due aspetti fondamentali, che afferiscono gli ambiti dell’intermediazione del pagamento ed emissione di moneta elettronica, nonché quello fiscale.

[4] I DPA sono i cc.dd. “Digital Payment Advisor”, ossia della applicazioni operative su dispositivi mobili, in grado di suggerire l’impiego di uno strumento di pagamento digitale – fra quelli censiti dal consumatore-  che permetta di ottenere migliori rewards in funzione di: importo dell’acquisto che il consumatore sta per compiere, tipologia di prodotto acquistabile, esercizio commerciale, periodo temporale in cui avviene l’operazione.

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