Pagamenti digitali, la sfida è l’interoperabilità

Pubblicato il 16 Giu 2014

Patrizia Licata

Siamo nell’era dei Bitcoin e degli smartphone che pagano con la Near Field Communication, ma le sfide per i pagamenti elettronici sono ancora tutte aperte. Se ne è parlato all’XI Digital Payment Summit tenutosi presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma UNINT: la creazione di un mercato concorrenziale che offra condizioni uguali per tutti, l’interoperabilità dei sistemi di pagamento, la creazione di un’offerta più diversificata e semplificata per l’utente finale, che stimoli gli italiani all’utilizzo della moneta elettronica al posto del contante, sono le esigenze messe a fuoco da tutti i relatori. Con un dato che fa da sfondo: il semestre italiano di presidenza Ue è l’occasione per far valere in sede europea la nostra posizione anche su questi temi.

“”La Commissione Ue ci invita a investire nei pagamenti elettronici, che sono un elemento fondamentale”, ha evidenziato Massimo Doria, direttore della divisione Strumenti e servizi di pagamento di Banca d’Italia. “Un’industria dei pagamenti efficiente produce benefici per tutta l’economia e in questo settore. L’Italia ha l’occasione del semestre di presidenza Ue per dire la sua”. Di che cosa abbiamo bisogno? “Creare reale concorrenza di mercato con regole comuni e standard condivisi ed eliminare la stratificazione di regole e procedure che condizionano l’offerta di servizi di pagamento”, risponde Doria. “La sfida per l’autorità è promuovere il cambiamento, per gli operatori è accettare la concorrenza. I consumatori vanno informati dei rischi ma anche lasciati liberi di scegliere”.

Che l’Italia sia in ritardo nell’adozione della moneta elettronica è stato messo in evidenza tanto da Maria Pia Giovannini dell’Agenzia per l’Italia Digitale quanto da Elio Catania, presidente di Confindustria digitale. “L’Italia ha un gap di 25 miliardi di euro l’anno rispetto alla media Ue di investimenti nel digitale”, osserva Catania; “dobbiamo muoverci, nel settore pubblico e privato, trasformare le agende in fatti. Non avere i pagamenti digitali costa all’Italia 10 miliardi di euro l’anno. Serve formazione per cittadini e imprese, serve un’offerta interoperabile”. La politica lega il tema dei pagamenti digitali anche alla tracciabilità, alla lotta all’evasione, al riciclaggio e all’illegalità. “Ci deve essere un quadro unico di norme per tutti i paesi Ue, per evitare una situazione in cui alcuni paesi hanno normative che favoriscono gli operatori esteri sui nostri”, afferma Marco Di Stefano, VI Commissione Finanze Camera dei Deputati.

Anche le banche, rappresentate dall’Abi, chiedono parità concorrenziale tra i diversi prestatori e soggetti dei vari paesi: regole chiare per tutti gli operatori, anche stranieri, per preservare la concorrenza. Ma qui inizia il “braccio di ferro” con l’Aiip, che rappresenta i nuovi soggetti entrati sul mercato (Istituti di pagamento e di moneta elettronica), che offrono servizi in concorrenza con le banche, ma che hanno bisogno di appoggiarsi alle banche per i servizi di tesoreria. Concorrenti o partner, allora? “Se le banche italiane ci chiudono le porte, gli Istituti di pagamento italiani useranno le banche estere”, ammonisce Maurizio Pimpinella presidente dell’Aiip, “e così soldi e imprenditorialità italiana andranno all’estero. Non solo: non formeremo un forte sistema italiano dei pagamenti digitali e lasceremo che il mercato sia facilmente conquistato dai colossi come Amazon e Google che già sono pronti ad arrivare in Italia con le loro offerte di e-wallet”. Sono colossi che hanno dalla loro la forza di milioni di utenti, un brand globale, mezzi, tecnologie e un piano industriale. Fare sistema è la vera sfida per l’Italia.

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