Domenico Aliperto
Non è tutto mobile payment quello che luccica. Il mercato sembra averlo imparato, per lo meno a giudicare dalle tiepide reazioni con cui è stata accolta la notizia della richiesta alla SEC (Securities and Exchange Commission) dell’offerta di azioni da parte di Square. La creatura di Jack Dorsey (nella foto, fondatore per chi non lo sapesse di un’altra azienda della new economy – Twitter – che non sta brillando come dovrebbe), pur essendo valutata circa 6 miliardi di dollari e macinando un fatturato che a fine 2015 dovrebbe superare il miliardo di dollari, non sembra infatti aver ancora inquadrato bene il proprio modello di business, e soprattutto continua a generare perdite consistenti (erano 154 milioni di dollari nel 2014, 77 milioni del primo semestre 2015).
Il nome Square deriva dalla piccola periferica quadrata che collegandosi al jack audio trasforma gli smartphone in mobile Pos, permettendo ai merchant che lo hanno in dotazione di accettare qualsiasi tipo di pagamento cashless Apple Pay incluso. Ogni transazione comporta per il merchant una fee del 2,75% dell’importo pagato se il cliente striscia la carta nell’apposita fessura, mentre la commissione sale al 3,75% più 15 centesimi se l’operazione è gestita manualmente, inserendo cioè i dati della carta sul terminale. Quello delle fee è attualmente il modello di business predominante, ma in teoria dovrebbe rappresentare per Square solo il cavallo di Troia per ampliare la base dei sottoscrittori e cominciare a fornire servizi evoluti di analytics per l’analisi, la profilazione e il trattamento delle fatture della clientela. Il problema è che se da una parte questo passaggio non è ancora avvenuto, dall’altra sono sorti negli anni diversi competitor per l’attività core di Square. Competitor che offrono non solo tariffe più abbordabili ma anche più funzionalità. Il gruppo di Dorsey si trova attorniato da almeno altre 80 società, e non sono tutte startup. Anche PayPal e Amazon sono entrate in partita, e a gamba tesa: il gruppo di Jeff Bezos, con Local Register, propone ai merchant che si iscrivono entro fine ottobre il 36% di sconto per tutto il 2016 rispetto alle fee di Square.
Ma le perplessità sull’IPO riguardano anche il tema della sicurezza della piattaforma tecnologica, visto che nel primo trimestre 2015 Square ha subito una frode da parte di un venditore del valore di 5,7 milioni di dollari, e l’affare sfumato con Starbucks, che dopo aver pesato sul bilancio 2014 con revenue per 123 milioni di euro (il 14,5% del fatturato), ha deciso di rivolgersi a un altro processore di pagamenti. Starbucks ha potuto fare a meno di Square sia perché sfrutta già con successo la propria applicazione proprietaria per permettere ai clienti di effettuare ordini e pagare il conto via smartphone, sia perché implementerà a breve Apple Pay.
Tutte queste ragioni spiegano lo scarso entusiasmo del mercato e dei media specializzati, a partire da Forbes, nei confronti dell’IPO da 275 milioni di dollari proposto dal gruppo. Ma c’è di più: pesa anche il fatto che alla testa di Square ci sia quello stesso Jack Dorsey (detentore tra l’altro del 24,4% delle azioni) che è impegnato 24 ore su 24 pure sul fronte Twitter (altra società che dà non pochi grattacapi e che non più di una settimana fa ha annunciato i primi licenziamenti). Del resto è lo stesso board ad ammetterlo nel documento presentato alla SEC, tra i possibili rischi da segnalare agli investitori: “Può a volte incidere sulla sua capacita’ di dedicare tempo, attenzione e sforzi a Square”.
Va detto però che le perplessità non riguardano solo la startup di Dorsey. È l’intero mercato a essere diventato più cauto quando si tratta di innaffiare le tech company con dollari freschi. Secondo la società di consulenza Deologic, nei primi nove mesi del 2015 ci sono state solo 22 IPO nel settore dell’innovazione, meno della metà di quanto si era registrato a fine settembre 2014.