Alessandro Longo
Unicredit ha già ridotto di 10 milioni di euro le proprie spese legali grazie alla digitalizzazione dei pagamenti verso il Ministero di Giustizia. Progetto dove ha lavorato come pioniere, con Poste Italiane e l’Agenzia per l’Italia Digitale, attraverso la propria banca specializzata in crediti Unicredit Credit Management Bank.
È la prima prova tangibile di come il nodo pagamenti – che ha cominciato la propria vita appunto con le transazioni degli avvocati – può rendere più efficienti le aziende e gli avvocati, a quanto ci racconta Dino Crivellari, Amministratore Delegato di Unicredit Credit Management Bank (dal 12 febbraio venduta al gruppo americano Fortress Investment).
Qual è il vostro punto di vista sullo stato d’avanzamento del nodo pagamenti?
Pubblico e privato che si incontrano su progetti specifici per fare un’innovazione di sistema sono un team vincente. L’importante è che idee e interessi siano chiari per giustificare gli investimenti. La prima impressione è che ci sia una fortissima volontà del pubblico di portare avanti le iniziative. Non tutte le imprese private si impegnano con altrettanta forza. Abbiamo però un giudizio molto positivo su quello che si sta facendo.
Quali sono i vostri dubbi sulle aziende private?
È una questione di approccio alla digitalizzazione. Per noi è più facile, viste le nostre dimensioni: abbiamo 50 miliardi di crediti in sofferenza e 3 milioni di anagrafi. Tutto questo non sarebbe sostenibile se non l’affrontassimo già da tempo in modo tecnologico. Siamo stati un partner agevole per il soggetto pubblico che si appresta apprestava a fare questo passo. Cosa che non è scontata: ci sono tante piccole aziende in Italia, che non sono pronte per operare con il pubblico per un’innovazione che non dia un valore economico immediato.
Noi invece siamo partiti con il piede giusto, con il Ministero della Giustizia per digitalizzare i pagamenti del processo civile. Tipicamente quelli degli avvocati. Con noi c’erano solo le Poste, all’inizio. Nel giro di pochi mesi abbiamo realizzato il progetto, che poi si è esteso a tutto il Paese e da giugno è diventato obbligatorio. Il nodo pagamenti è il livello successivo. Certo, abbiamo fatto investimenti per sviluppare quel progetto, senza una contropartita economica. Ma il nostro interesse era rendere più efficiente il sistema giudiziario, ottenendo così vantaggi che non sono immediati ma sono misurabili in prospettiva.
Di quali vantaggi si tratta?
Un avvocato che deve presentare un atto in tribunale prima doveva andare in tabaccheria e comprare una marca da bollo, che si chiamava “cicerone”. Doveva fare la coda in cancelleria eccetera. Moltiplicatelo per tutte le numerose cause che abbiamo in Italia. Dalla digitalizzazione, abbiamo risparmiato sulle nostre spese legali 10 milioni di euro l’anno. Già, solo noi, riducendo l’attività dei nostri avvocati su attività di basso valore.
E non è solo una questione di risparmi: prima i malintenzionati potevano sottrarre la marca da bollo e metterla su altri documenti. Ora non è più possibile: il pagamento viene comunicato via internet in contemporanea alla cancelleria e alla Tesoreria, che lo associa al Ministero della Giustizia. Risultato: si è ridotta la schiera di chi doveva contare i pagamenti e fare i controlli. Il tutto è merito anche dei responsabili del progetto che hanno lavorato con noi: Maria Pia Giovannini dell’Agenzia per l’Italia Digitale e Stefano Aprile del ministero.
Quindi si tratta di vantaggi sia per la macchina dello Stato che per chi ci interagisce…
Infatti. Quando si parla di spending review bisognerebbe puntare molto sulla digitalizzazione, che riduce immediatamente i costi. La resistenza è solo comportamentale: alcune persone hanno difficoltà a cambiare le procedure. Non ci sono ostacoli tecnici e adesso anche le piccole banche possono collegarsi con facilità al nodo pagamenti, senza grossi investimenti.
Per andare a regime su tutti pagamenti alla PA, quali sono gli scogli principali da superare?
La cosa importante è la volontà politica di portare avanti i progetti. Non ci sono enormi investimenti da fare. Lo sforzo maggiore è adeguare i processi che sono dentro le pubbliche amministrazioni e nelle aziende.
Uno scoglio possono essere i Comuni, a tal riguardo?
Esatto. Questa è la difficoltà: la numerosità delle contro parti. Per questo motivo conta la volontà politica. Bisogna insistere su regole impositive, com’è stato con la Pec, e applicarle rigidamente. La burocrazia può difendere sé stessa dal progresso in vari modi: per esempio anche rendendo inutilmente complessa l’interfaccia dei pagamenti. Così scoraggia l’utilizzo e guadagna ancora un po’ di tempo di sopravvivenza. Perché non c’è una struttura che verifica l’usabilità degli strumenti digitali messi a disposizione del pubblico?
E invece i servizi del nodo pagamento saranno fruibili facilmente?
Secondo i progetti che stiamo seguendo, sì. Se non si interrompe la volontà politica avremo presto un sistema di pagamento digitale diffuso verso la PA. Adesso si tratta solo di incidere sulle pratiche dei singoli Comuni.