Alessandro Longo
Sono prossimi a quota 200 gli esercenti italiani che accettano bitcoin (secondo Coinmap.org). Se ne trovano di ogni tipo: ristoranti, alberghi, palestre, stazioni di servizio, agenzie turistiche, negozi di informatica, di mobili; ma anche studi di architetti e dentistici.
È una piccola moda che nasce. Gli esercenti adottano questo sistema di moneta indipendente e digitale (nato a gennaio 2009) per due motivi, innanzitutto: per risparmiare sulle commissioni (non si applicano quelle solite dei circuiti delle carte di credito), ma anche come forma sofisticata di pubblicità. Chiudono un occhio quindi su vari inconvenienti: la dubbia sicurezza del sistema, l’estrema volatilità della valuta, una certa scomodità nella transazione.
Val la pena insomma soppesare pro e contro dei bitcoin, che in fondo derivano dalle sue stesse caratteristiche distintive.
Le regole della moneta senza banca
A differenza delle valute tradizionali, il Bitcoin non ha un ente centrale di riferimento. Vive su internet, attraverso un network distribuito tra numerosi computer, che tiene traccia delle transazioni. Invece che su Stati e banche, si regge sulle ferree leggi matematiche iscritte in un algoritmo crittografico. Bitcoin utilizza infatti la crittografia per provare che ciascun utente ha diritto a spendere i soldi del proprio portafoglio. “Se ti fidi della matematica, ti puoi fidare di Bitcoin”, è il motto dei pionieri di questa valuta.
Il primo passo per entrare in questo mondo è aprire un conto, che si può fare in due modi: installando un client (che include il portafoglio digitale) su computer o su smartphone; oppure attivando un servizio web che ospiterà tutti i nostri dati (e soldi) in cloud. Su bitcoin.org/it/scegli-il-tuo-portafoglio ci sono le alternative. Se gestiamo il tutto sui nostri dispositivi, sarà nostra responsabilità proteggere il portafoglio. Se ci affidiamo un servizio web, dobbiamo sperare che questo non scompaia e che sia ben protetto da attacchi hacker.
In ogni caso, l’utente riceve un indirizzo alfanumerico (analogo concettualmente all’Iban) con cui inviare e ricevere soldi. Per riempire il portafoglio, è possibile comprare bitcoin su siti che fanno da mercato di scambio, come Bitstamp.net, Btc-e.com o TheRockTrading.com, gestito da italiani. La legge della domanda e dell’offerta su questi exchange fa la quotazione dei bitcoin.
Un’alternativa è l’italiano Bitboat.net, che riempie il nostro portafogli in cambio di ricariche PostePay o SuperFlash. Si moltiplicano inoltre i bancomat Bitcoin nel mondo: metti denaro vero e ricarichi il tuo portafoglio. I primi due italiani sono nati a Roma (presso Working Capital di Telecom Italia) e in Friuli, pochi giorni fa.
È possibile poi spendere i soldi su siti online o negozi fisici che accettano questa valuta. Comunque la transazione avviene su internet ed equivale a uno scambio degli indirizzi Bitcoin. Gli esercenti ora sono soliti automatizzarlo utilizzando i codici Qrcode che il cliente può scansionare con il cellulare. La stessa app (per esempio Blockchain per Android) può essere usata per generare il Qrcode e per scansionarlo (quindi per pagare).
Il Qrcode contiene insomma le informazioni sull’importo e sull’indirizzo Bitcoin del beneficiario.
Se il cliente ha un minimo di dimestichezza con le tecnologie- e deve avercela, se ha adottato i bitcoin- il pagamento via Qrcode non è più lento rispetto all’uso di carta di credito con pin.
«Abbiamo scelto di accettare i bitcoin perché così evitiamo, almeno su queste transazioni, di pagare commissioni, tema che sta diventando sempre più gravoso, alla luce del fatto che da giugno 2014 tutti gli esercenti saranno costretti ad avere un pos per legge», spiega Richard Niederstätter, titolare dell’Albergo Bachmann (Alto Adige), uno dei primi ad accettare questa moneta (dal 2013). A pagare una piccola commissione, sul pagamento, può essere però il cliente. La commissione è variabile ed è decisa dall’algoritmo in automatico, a seconda di vari fattori: può essere pari a zero o arrivare a pochi centesimi di euro. Sono soldi che poi vengono messi in circolo nel network e distribuiti tra gli utenti che hanno scelto di installare sul computer il client ufficiale Bitcoin. Questo client occupa alcune risorse di calcolo del computer per reggere l’intero sistema di verifica distribuita delle transazioni Bitcoin. «Se poi il merchant non pensa al bitcoin come a un buono elettronico da cambiare subito in Euro, ma inizia a usarlo a sua volta per pagare fornitori e collaboratori, arriva a un enorme guadagno di efficienza», suggerisce Massimiliano Sala, direttore del Laboratorio di Crittografia dell’Università di Trento e noto crittografo nel settore bancario.
«L’altro vantaggio è che ci stiamo facendo pubblicità, in questo modo. L’altro giorno è venuto da noi un turista da Hong Kong solo per poter pagare in bitcoin…un cappuccino», aggiunge Niederstätter. Certo, siamo agli inizi e al momento la scelta di adottare questa valuta non cambia le economie di un esercente. «Abbiamo avuto sette clienti con bitcoin, finora: l’equivalente di 500 euro, ma non li abbiamo nemmeno convertiti e per ora ce li teniamo in bitcoin», dice.
I rischi di bitcoin
Il primo aspetto da considerare è l’alta volatilità della moneta, che è un rischio inedito per un esercente: nel giro di pochi mesi il valore bitcoin si è dimezzato. Non è un problema irrisolvibile, tuttavia, ma solo una cosa in più da decidere: se convertire subito in euro oppure provare a specularci sopra, tentando la fortuna. «Vediamo: o il mio incasso raddoppia o perdo tutto o quasi», scherza Niederstätter. Convertire grandi cifre di bitcoin ha rischi di per sé, comunque. Lo sanno bene gli utenti dell’exchange Mt Gox, che dichiarando fallimento, a febbraio, ha fatto perdere loro l’equivalente di mezzo miliardo di dollari.
Un altro aspetto da considerare è quello fiscale. «Al momento non c’è chiarezza normativa sul Bitcoin, in Europa, quindi possiamo dire che è permesso accettare un pagamento in questa valuta finché non sarà esplicitamente vietato», dice Ernesto Belisario, avvocato esperto di nuove tecnologie. «Noi risolviamo così: facciamo sempre comunque una ricevuta in euro, ai fili fiscali», dice Niederstätter.
C’è chi è ancora più prudente e preferisce appoggiarsi a BitPay, una piattaforma che fa da intermediario di pagamento. L’esercente così non tocca proprio la valuta digitale, ma riceve i soldi direttamente in euro. E’ stata per esempio una scelta di Franco Lanza, della Unixmedia di Lonate Pozzolo (Varese), azienda che produce e commercializza articoli di domotica. Così si evita anche un’altra possibile grana fiscale: su come dichiarare le eventuali differenze, in guadagno, tra la ricevuta fatta in euro e il prezzo di vendita del bitcoin quando l’esercente decidesse di convertirli sull’exchange.
«Il problema più grosso per un esercente è il rischio che le autorità monetarie mettano fuorilegge il Bitcoin, ma credo che non si arriverà a questo in Europa. Al massimo a una regolamentazione farraginosa e controproducente se i legislatori non parleranno con gli esperti prima di scrivere le norme», dice Sala.
Un altro rischio, più concreto, riguarda qualsiasi utente bitcoin: attacchi informatici che sottraggano i soldi dai portafogli. Di solito mirano direttamente ai server, non ai singoli computer. A ottobre 2013 hanno svuotato gli e-wallet australiani gestiti online da Inputs.io, portandosi via 4100 bitcoin, ovvero più di quattro milioni di dollari al cambio dell’epoca. A novembre 2013 è stato il turno dei Danesi di BIPS: 1295 bitcoin presi dai conti degli ignari utenti, ovvero più di un milione di dollari.
Infine, c’è la questione della lentezza delle transazioni, che è un problema per i negozi fisici e che sta per ora rallentando l’adozione della nuova moneta. «Da quando il cliente paga a quando l’esercente riceve conferma del pagamento, passano in media 4-5 minuti. Il caso più frequente è di una decina di minuti», dice Sala. È una conseguenza inevitabile, per com’è fatto il sistema Bitcoin: la transazione deve passare dal network distribuito, che la verifica e così si accerta se l’utente aveva davvero in portafoglio i soldi che vuole spendere. «Quest’attesa è accettabile nei casi in cui l’utente paga prima per beni o servizi di cui fruisce dopo: è il caso dell’e-commerce. Il negozio fa sempre in tempo a bloccare la spedizione del prodotto o l’attivazione del servizio pagato in modo fraudolento con bitcoin». «Non ha senso invece trattenere per qualche minuto il cliente al bar o al ristorante. L’esercente, in questo caso, accetta il rischio e sceglie di fidarsi del cliente», dice Sala.
Un cammino ancora lungo
Come se ne esce? Non c’è una soluzione facile. «Servono intermediari che coprono il rischio dell’esercente. Questi quindi si ritroverà a pagare fee, che sperava di avere eliminato, ma il punto è che con i bitcoin saranno una frazione di quelle che paga coi sistemi tradizionali. L’esercente verrebbe infatti comunque sgravato dai costi del circuito», dice Sala.
È solo un esempio per capire quanta strada debba fare ancora il Bitcoin per diventare un sistema sicuro, comodo e affidabile come la carta di credito. Con il vantaggio speciale di essere libero e (quasi) gratuito. Probabilmente, sulla via della maturità del Bitcoin, si affermeranno intermediari di pagamento (una specie di assicurazione contro le frodi). E forse anche supervisori che accertino l’affidabilità degli exchange (per evitare altri casi Mt Gox) o la sicurezza dei server che ospitano i nostri portafogli. Maturità significa anche fare una maggiore chiarezza sul fronte fiscale.
Sarà un cammino lungo, ma con potenzialità interessanti per esercenti e utenti.