Pagamenti elettronici, quali strumenti per incentivarne lo sviluppo?

Pubblicato il 29 Lug 2015

Domenico Aliperto

Giovanni Miragliotta,Politecnico di Milano

Promuovere la diffusione dei pagamenti innovativi, specialmente in un Paese come l’Italia, non significa solo agevolare lo sviluppo di nuove piattaforme, infrastrutture, strumenti e modelli di business. Elementi che per altro, come vedremo, non mancano. Vuol dire principalmente sostenere la cultura dell’utilizzo della moneta elettronica e aiutare il mercato a comprendere in che modo può sfruttarne i vantaggi, agendo là dove possibile sulla leva degli incentivi. E sono prima di tutto gli attori della filiera sottesa al sistema dei pagamenti i soggetti chiamati a capire quali dinamiche intercorrono tra consumatori e merchant.
Constatata la necessità di fare chiarezza su scenari che forse fino a oggi sono stati trattati come stereotipi o senza creare correlazioni con il dovuto rigore scientifico, gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano hanno raccolto attorno a un tavolo di lavoro alcuni dei protagonisti del mercato per delineare il contesto e provare a elaborare strategie coerenti di incentivazione allo sviluppo dei pagamenti elettronici in Italia. Il panel, destinato a crescere nei prossimi mesi, nella fase iniziale del progetto è composto da BPM (Banca Popolare di Milano), Consorzio Bancomat, Divisione Consumer Bper, Edenred, Ingenico, Intesa Sanpaolo, MasterCard e Sia, UBI Banca, oltre che da rappresentanti del mondo istituzionale e delle associazioni di categoria.

Ma Giovanni Miragliotta, coordinatore del tavolo di lavoro inaugurato lo scorso 16 luglio, ha spiegato che sono già stati attivati contatti con altre associazioni di categoria e attori del mondo dei pagamenti elettronici. L’iniziativa si snoderà lungo altri due appuntamenti, fissati per l’11 novembre 2015 e il 13 gennaio 2016, durante i quali rispettivamente si effettuerà un’analisi internazionale dei progetti di incentivazione e si genereranno e valuteranno le proposte emerse durante il confronto. L’evento finale sarà un convegno pubblico pubblico in cui i partecipanti agli incontri verranno inviati a discutere i punti affrontati in questi mesi di lavoro.

Il contesto italiano

Uno degli stereotipi da sfatare è che la Penisola non sia pronta dal punto di vista tecnologico e infrastrutturale ad accogliere l’uso di massa dei pagamenti elettronici. Secondo i dati della BCE e della Banca d’Italia, il nostro Paese è all’avanguardia a livello mondiale per la presenza di terminali di accettazione: ci sono 1,88 milioni di Pos, circa 31 mila unità per milione di abitanti, distribuiti prevalentemente nei settori della ristorazione e dell’abbigliamento (al netto della Gdo). I mobile Pos sono attualmente 45 mila, e cresceranno fino a raggiungere nel 2017 un numero compreso tra le 120 mila e le 240 mila unità. Le carte attive (tra credito, debito e prepagate) nel 2014 erano 81,9 milioni. Ma se il mercato dal punto di vista dell’infrastruttura è ben coperto, per non dire saturo, il tasso di utilizzo dei terminali è molto inferiore rispetto ai top performer internazionali. Le transazioni elettroniche pro capite in Italia sono infatti soltanto 33 all’anno, con una spesa media di 70 euro, nettamente superiore ai 55 euro della media europea e indice di scarsa familiarità con le transazioni quotidiane. D’altra parte, il comparto dei pagamenti mobile cresce a doppia cifra e dimostra una certa vitalità rispetto al più ingessato mondo delle tessere. Quindi risulta chiaro che in Italia il problema principale non è la scarsa diffusione degli strumenti, quanto la bassa propensione a utilizzarli.

Obblighi, incentivi e squilibri

Soffermandosi ad analizzare gli obblighi e gli incentivi in essere sul fronte dei pagamenti digitali e mappandone effetti e destinatari, si evince come il mercato italiano viva un forte squilibrio tra il trattamento riservato dallo Stato agli esercenti e il modo in cui aziende e brand provano a guidare e informare i consumatori. In una parola, la normativa agisce quasi esclusivamente sui merchant, imponendo obblighi e vincoli, mentre le iniziative a favore dei clienti sono praticamente tutte appannaggio delle imprese private, se si esclude il bonus fiscale mobili e ristrutturazioni edilizie pagati con sistemi elettronici tracciabili. L’ecosistema normativo si compone infatti del divieto di effettuare transazioni superiori ai mille euro in contanti (in vigore da febbraio 2012), dellobbligo di accettare pagamenti con carta di debito per transazioni sopra i 30 euro (rispetto al quale però non sono previste sanzioni né tanto meno incentivi), del Nodo dei pagamenti (avviato da gennaio 2014 e obbligatorio dal 2015) e della legge di Stabilità, che dallo scorso 1 luglio ha aumentato la soglia di detassazione dei buoni pasto elettronici (da 5,29 a 7 euro). Attualmente è inoltre in discussione il cosiddetto fiscal box, che permetterebbe la trasmissione telematica delle operazioni IVA e il controllo delle cessioni di beni direttamente attraverso i distributori automatici.

La costruzione di valore per il consumatore

Sul lato consumatore, si possono invece contare una miriade di iniziative promozionali volte a premiare chi utilizza per i propri pagamenti le carte, in modalità tradizionale o contactless. Una delle operazioni più strutturate è senz’altro Cashless City, sostenuta da CartaSi, Banco Popolare, Ubi Banca, Visa, MasterCard e Consorzio Bancomat per spingere le transazioni elettroniche nel comune di Bergamo fino al 30 settembre. E i risultati finora raggiunti da Cashless City sono molto positivi. Ma si possono menzionare anche i progetti che Visa, Mastercard e BancoPosta hanno varato in autonomia o in partnership con il retail. Una delle case history più eclatanti, però, è quella della promozione attivata da Esselunga nel 2013 per spingere l’utilizzo dei Pos contactless alle barriere cassa. Offrendo punti Fragola (i crediti del programma di loyalty dall’insegna) ai clienti disposti a pagare con carte contactless, in cinque negozi della rete da aprile a giugno le transazioni effettuate con un tap sono quasi triplicate, mantenendo un buon livello anche dopo il termine della promozione, segno di un gesto diventato più “abitudinario” tra gli utenti che lo hanno provato. Se ne può dedurre che l’esercente ha un ruolo chiave nell’educazione del consumatore finale, che dopo il vantaggio offerto attraverso un’iniziativa promozionale comincia ad apprezzare la praticità dei pagamenti innovativi.

Le barriere alla diffusione del cashless

Ma al di là delle grandi catene, l’esercente ha interesse a promuovere i pagamenti elettronici? Fino a quando il sistema non sarà più conveniente dell’utilizzo del contante sembrerebbe di no. E il cash continua a offrire una serie di vantaggi, a partire dall’elusione fiscale, a cui si aggiungono costi di gestione assolutamente competitivi rispetto alle commissioni da pagare sull’adozione di piattaforme innovative. Anche in settori che non si faticherebbe a immaginare del tutto cashless – come per esempio quello della distribuzione dei carburanti o quello delle vending machine – il caro vecchio contante ha ancora diverse cartucce da sparare. Senza contare poi la diffidenza, tipica del nostro Paese, nei confronti dei sistemi di dematerializzazione.

Di questioni da affrontare ce ne sono dunque parecchie, e capire che modalità di incentivazione, a quale livello della filiera e con che tipo di vantaggi attivare è tutt’altro che immediato. L’analisi delle buone pratiche adottate nei Paesi dove la lotta al contante ha dato i suoi frutti aiuterà senz’altro a mettere a fuoco anche la prospettiva italiana.

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