Incontriamo Paolo Sironi, esperto internazionale di innovazione in ambito finanziario, scrittore (con una predilezione per i temi legati all’universo FinTech) e FinTech Thought Leader, IBM Watson Financial Services, di passaggio in Italia, nel corso del Salone dei Pagamenti di Milano. E subito capiamo che il suo è un punto di vista un po’ particolare… un passato da fondatore di FinTech, è convinto che l’innovazione portata dalla tecnologia non debba essere vista come una minaccia dagli operatori bancari ma, piuttosto, come un motore di cambiamento.
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Effetto Big Data, diventare Data Scientist è sempre più di moda
«Il cambiamento per la banca avviene al di là delle tecnologie in quanto tali – esordisce –. Cambiano, infatti, i modelli di business perché sono cambiati in primis i clienti». Fino a qualche anno fa la banca era per la vita. Oggi, invece, spostare il conto corrente non è più così raro. Ecco perché bisogna lavorare sull’engagement e la fidelizzazione del cliente. Ma come? «Gli istituti di credito sono chiamati a trasformarsi da imprese che guadagnano sulle transazioni a organizzazioni in grado di confezionare offerte e servizi su misura, calibrandoli in modo tale che il correntista gli riconosca quel valore aggiunto che è per lui fondamentale e per il quale è disposto a pagare. La trasparenza sui servizi bancari, che è figlia della competizione delle FinTech, non è sinonimo di disintermediazione, ma di un nuovo modo di fare banca, non più basato sulle quantità e sui volumi ma sulla qualità, la professionalità e la consulenza». E questo vale anche per le FinTech stesse, che stanno cambiando pelle. Negli Stati Uniti, per esempio, le startup tecnologiche che operano nell’universo finanziario stanno progressivamente espandendo la propria attività dal segmento consumer al B2B (Business-to-Business), ampliando la gamma di servizi a valore aggiunto offerti.
Il ruolo dell’intelligenza aumentata
«Per mantenere le leve commerciali bisogna far sì che si crei un’innovazione sostenuta, non dirompente – tiene a
sottolineare Sironi –. La banca ha di fronte a sé due alternative. Può abbracciare il percorso di digitalizzazione che segue all’unbundling, quindi alla minor affezione del cliente all’istituto finanziario che stiamo sperimentando in questi anni, concentrandosi sui mercati cosiddetti “a volume”, indifferenziati e, proprio per le loro caratteristiche, facilmente attaccabili. L’altra opzione, che è quella che io personalmente consiglio, è fare innovazione sostenuta e sostenibile nel lungo termine. Per creare valore, gli istituti finanziari devono far leva sulle informazioni, che sono il loro asset principale. E qui ritorna in gioco la tecnologia. Noi come IBM crediamo che l’intelligenza aumentata giochi un ruolo fondamentale nel sostenere i nuovi modelli di business delle banche, che hanno il loro perno nei digital payment». Nell’evoluzione in atto, infatti, i pagamenti digitali possono veramente diventare il passaggio chiave per creare quei meccanismi d’ingaggio utili a portare un’innovazione “di valore”, modificando per sempre il settore della finanza. «Non stiamo parlando di disruptive innovation – precisa – e neppure di business innovation. Stiamo parlando di una vera e propria information innovation, il cui obiettivo è avere accesso a informazioni facilmente fruibili, ottenute sfruttando le moderne tecnologie AI, Big Data e Insights, per creare un nuovo ingaggio con il risparmiatore». Sono gli analytics che permettono di elaborare le informazioni sul cliente per generare valore aggiunto e fondamentale è il ruolo degli insights. «Le informazioni devono diventare supporti decisionali a valore aggiunto – spiega – e gli analytics di tipo cognitive permettono di farlo. Il concetto di cognitive, che noi come IBM sosteniamo e promuoviamo, è diverso da quello di AI. Non parliamo di una tecnologia che prende decisioni al posto dell’uomo, ma piuttosto di una tecnologia che permette di contestualizzare una decisione rispetto a una base di informazioni più ampia e accurata, quindi in definitiva di prendere decisioni più informate e consapevoli. Questa è la nuova information economy e IBM, con la sua offerta, permette di creare l’infrastruttura tecnologica utile ad abilitare questa evoluzione».
Quale futuro per il wealth management
La tecnologia è destinata a giocare un ruolo chiave anche nel futuro del wealth management, tra robo advisor e investimenti goal based. La banca deve diventare il fulcro della consulenza per le imprese e le famiglie può farlo perché ha già al proprio interno la ricetta segreta per creare un percorso di valore. «I robo advisor nascono per colmare il vuoto creato dalla disaffezione delle persone rispetto alle banche che si è generata con la crisi economica – spiega Sironi –. Ecco perché oggi la banca ha bisogno di creare una nuova offerta, una nuova forma di proposizione basata sui bisogni degli individui. Occorre lavorare sull’onboarding, sul coinvolgimento». I robo advisor coprono la parte a minor valore aggiunto di tutto il processo, ma c’è ancora ampio margine per gli istituti che vogliono cambiare prospettiva e mettere il cliente al centro delle loro strategie. I robo advisor sono nati come completamente digitali ma la psicologia dell’investitore non permette, ancora oggi, di avere una relazione completamente mediata da questa componente tecnologica ed ecco perché molti robo-advisor hanno iniziato di recente ad assumere consulenti finanziari “in carne e ossa”.
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FinTech vs. TechFin
Da qualche anno sentiamo spesso parlare di disintermediazione finanziaria e di concorrenza FinTech. Ultimamente,
però, agli intermediari finanziari si sta affiancando un’altra tipologia di concorrenza che insiste sullo stesso mercato del banking/finance: le TechFin. Ma cosa sono? E in cosa si differenziano dalle FinTech?
Per le startup e gli operatori FinTech l’obiettivo è di massimizzare l’uso delle tecnologie emergenti per scardinare completamente i modelli di business tradizionali dei servizi finanziari. Si tratta di una tipologia di innovazione dirompente (disruptive) che porta, in alcuni casi, al fallimento e alla sparizione degli attori tradizionali. L’idea è di capire come sostituire a un intermediario fisico uno tecnologico, come avviene per esempio nei prestiti Peer-to-Peer (P2P) o nelle varie declinazioni della Blockchain.
Per le aziende che operano come TechFin, invece, l’obiettivo è di migliorare le attuali funzionalità o l’esperienza utente nel settore dei servizi finanziari. L’innovazione TechFin non ha una natura disruptive ma più che altro migliorativa, in ottica incrementale. Questo significa che i suoi benefici sui modelli di business richiedono tempi più lunghi per essere evidenziati, ma i riflessi sull’esperienza utente saranno, invece, più facilmente rilevabili rispetto a quelli del FinTech. Le aziende del TechFin si caratterizzano per la loro capacità di sfruttare i dati cui hanno accesso in virtù della loro attività principale (attraverso Big Data, insights…) per creare una proposta di valore nel comparto dei servizi finanziari. La Cina è la nuova frontiera del TechFin: Alibaba è entrato in modo “prepotente” nel segmento dei servizi finanziari con la creazione di Ant Financial (2016). Al suo fondatore, Jack Ma, si deve anche la paternità del termine TechFin. Ma anche Amazon, Apple, Facebook, Google, Samsung e Uber offrono sistemi di pagamento che poggiano sulle informazioni ottenute offrendo altre tipologie di servizi – Ecommerce, car sharing…. L’ingresso di questi colossi nel mercato dei servizi finanziari segna il passaggio dai cosiddetti “nuovi intermediari finanziari” (FinTech) agli “intermediari di dati” (TechFin).
29 novembre 2017
Il futuro dei pagamenti nell’omnichannel? All’insegna di mobile e analytics
Innovazione digitale nel mondo finanziario: la Ricerca dell’Osservatorio Fintech e Digital Finance
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