Domenico Aliperto
Se è sempre di più il consumatore il vero decisore del mercato, la filiera che bisogna mobilitare per arrivare all’end user quando si tratta di pagamenti innovativi è costellata da una moltitudine di player, ciascuno con una visione e un modello di business peculiare. Visa prova a fungere da intermediario tra banche, esercenti, grandi gruppi tecnologici e nuovi entranti di un settore in continua evoluzione e costretto ad adattarsi continuamente a una normativa che, secondo la società, a volte non tutela i veri interessi del mercato. Ecco gli obiettivi, gli scenari, le partnership e le opportunità della piazza tricolore raccontati da Bertrand Sava, Regional Managing Director Southern Europe di Visa Europe, e Davide Steffanini, Direttore Generale Visa Europe in Italia, in un’intervista doppia concessa in occasione dell’ultima edizione del Prepaid Summit di Milano.
Su quali direttrici si muovono le partnership che Visa ha attivato e sta attivando per far fronte all’ibridazione dei sistemi e dei contesti di pagamento?
Bertrand Sava. Quella delle partnership è una questione fondamentale, che non riguarda solo il tema delle alleanze sul piano dei prodotti e dei servizi, ma
soprattutto rispetto al modo di lavorare, di approcciare un mondo che sta per l’appunto cambiando rapidamente. Parliamo quindi anche di piattaforme e infrastrutture, specialmente per quanto concerne la sicurezza, che sempre di più a livello consumer farà la differenza tra adozione e abbandono delle soluzioni. Per certi versi non è una novità per noi: negli anni 70 abbiamo deciso di condividere il nostro network con le banche. Oggi compiere il passo successivo significa aprire la Visa Developer Platform agli sviluppatori esterni. Ed è questo che implica una vera rivoluzione di paradigma sul piano operativo. Invece di proporre al mercato il nostro prodotto e spiegare come va utilizzato, passiamo attraverso un processo di co-creation con gli altri attori dell’industria per trovare risposte coerenti a problemi concreti.
Davide Steffanini. I nostri clienti sono e rimarranno le banche, ma una cosa ci è ben chiara: a decidere di cosa ha bisogno il mercato sono l’esercente e, in ultima istanza, il consumatore. Nel momento in cui allacciamo nuove partnership e sviluppiamo nuovi servizi teniamo a mente queste due entità, per cui i pagamenti digitali devono prima di tutto essere sicuri e la user experience sempre ottimale. Tra i gruppi con cui abbiamo cominciato a collaborare ci sono aziende provenienti da diversi settori, come Apple, Samsung, Google, e più passa il tempo più aumenta la nostra disponibilità a estendere lo sguardo in qualsiasi direzione. Rimangono comunque due le tipologie di imprese con cui aspiriamo a far partire progetti congiunti: gli enabler, per l’identificazione di soluzioni e progetti infrastrutturali, e i partner commerciali. Stiamo per esempio facendo sponda anche con il mondo dei trasporti. Dalle linee aeree ai servizi locali (come per esempio la TFL di Londra), comprendere le esigenze di pagamento degli utenti in mobilità si sta rivelando un’esperienza utilissima.
Qual è l’impatto dell’evoluzione della normativa, dal regolamento sulle interchange fee alla PSD2, sulle vostre attività e sullo scenario competitivo?
Sava. Ora che molte regole hanno cambiato i meccanismi del mercato, direi che innanzitutto dobbiamo aiutare gli istituti finanziari a ribilanciare il risultato economico. Le nuove iniziative hanno avuto comunque un effetto benefico sulla diffusione dei terminali di accettazione dei pagamenti innovativi: gli esercenti infatti riescono a vedere con maggior chiarezza i vantaggi del cashless. Ben venga dunque la regolamentazione se è pensata per aumentare la competizione a beneficio dell’utente finale.
Steffanini. Non tutte le iniziative però ci hanno aiutato, facendo sì che i sistemi di pagamento digitali risultassero efficacemente concorrenti rispetto al contante: ci sono anche regolamentazioni che nascono dalle esigenze di alcune categorie di interessi e che vanno contro le prerogative o le aspettative dei consumatori. Per esempio, abbiamo molte perplessità sulle proposte dell’Autorità Bancaria Europea sulla “strong consumer authentication” che mettono a rischio i check-out rapidi online che a oggi rappresentano il 50% di tutte le vendite on line. Il nostro Chief Risk Officer Peter Bayley è stato chiaro al riguardo: secondo lui le complicazioni generate delle proposte ABE arrivano senza che vi sia evidenza che questi cambiamenti possano effettivamente ridurre i rischi di frode. Gestire i pagamenti elettronici e digitali è sempre una questione di equilibrio tra sicurezza e comodità, e l’approccio a “taglia unica” sposterebbe l’asse di equilibrio rendendo più complicato per i consumatori fare acquisti on line ovunque, in qualsiasi momento e su qualsiasi dispositivo essi desiderino.
Qual è il vostro raggio d’azione sul mercato italiano alla luce della trasformazione in atto nei pagamenti (on line, proximity, wearable) e dell’esperienza omnicanale che puntano a offrire i retailer?
Steffanini. La sfida è duplice. Da una parte bisogna rendere più solido il business tradizionale, visto che la penetrazione è buona ma non ancora ottimale,
soprattutto sotto il profilo dell’utilizzo delle carte. In Italia inoltre si contano circa 1,6 milioni di terminali per l’accettazione. È senz’altro un dato positivo, però ci sono segmenti che risultano ancora molto scoperti, a partire dalla Pubblica amministrazione. Molti uffici aperti ai cittadini e moltissime altre strutture, come le scuole, hanno bisogno di un allineamento in tal senso. Ma supportare il business tradizionale non basta, bisogna anche rimanere in contatto con le aspettative dei consumatori e andare incontro ai bisogni degli utenti nativi digitali alimentando l’evoluzione tecnologica. Il contactless rappresenta l’infrastruttura di base per il mobile payment e va di pari passo con l’affermazione dei sistemi di remote payment dedicati al commercio elettronico. Dobbiamo essere certi di fornire a cavallo di entrambe le dimensioni la miglior user experience possibile, caratterizzandola per semplicità e convenienza e garantendo allo stesso tempo un livello di sicurezza adeguato.
Sava. I wearable saranno fondamentali per ottenere questo tipo di usabilità, ma bisogna puntare sullo smartphone per unificare le modalità proximity e on line. Il mercato c’è: secondo uno studio che abbiamo condotto a livello europeo, nel 2016 chi utilizzava il telefono per effettuare pagamenti tramite Internet o via app era solo il 18% dei rispondenti nel 2015. Oggi, a distanza di un anno appena, la quota ha raggiunto il 54%.
Sul piano della sicurezza quali sono per voi le opportunità e i rischi nel proporre il riconoscimento biometrico come pilastro della security lungo tutta la filiera?
Sava. A guidare la nostra azione sarà ancora una volta la scelta del consumatore. E le tecnologie biometriche piacciono: gli utenti le vedono come strumenti che offrono il giusto bilanciamento tra praticità, convenienza e sicurezza. Inoltre, come risulta da una nostra recente indagine, pensano che siano le banche i soggetti più qualificati per fornire sistemi all’altezza della situazione da questo punto di vista.
Steffanini. Gli istituti finanziari sono pronti a rivestire questo ruolo, ma ritengo abbiano bisogno di supporto. Servono accordi e partnership di sistema per dare vita a infrastrutture che da soli non riuscirebbero a realizzare e che soprattutto, se costruiti in autonomia, subirebbero la concorrenza dei colossi del Web e dell’hardware in ogni mercato. Visa si propone come trait d’union a livello globale tra le banche e i player come Google, Apple e Samsung, appianando le distanze tra i due mondi per la creazione di un ecosistema realmente collaborativo.
Visa punta molto anche sugli strumenti prepaid, mentre il settore bancario sta cercando di muoversi soprattutto verso i pagamenti in real time…
Steffanini. Sono temi abbastanza separati. L’instant payment è naturalmente l’ambizione di qualsiasi Payment Service Provider. La prepagata invece rappresenta un’opportunità di mercato che può aprire a nuovi modelli di business.
Sava. Pensiamo a carte e a meccanismi di welfare aziendali, travel business card, strumenti dedicati al mondo giovanile e ai cosiddetti consumatori unbanked, sprovvisti cioè di conto corrente. Tutte queste applicazioni hanno un enorme potenziale, ma necessitano di un sforzo altrettanto grande per diventare realtà consolidate: quello delle imprese è da questo punto di vista ancora un mercato inepresso e frammentato e sono poche le banche illuminate che hanno cominciato a indirizzarlo.