Obbligo di Pos, i dubbi e i malumori degli esercenti

Pubblicato il 12 Mag 2014

Alessandro Longo

L’obbligo ad accettare pagamenti via carta di debito sta gettando nei dubbi – per non dire nel panico, in certi casi – gli esercenti e i negozianti, perché la normativa si presta ad alcune interpretazioni.

Il problema si pone principalmente perché il Governo è in ritardo su un decreto ministeriale che potrebbe chiarire meglio termini ed eccezioni della normativa. Come Pagamenti Digitali ha già avuto modo di spiegare , sappiamo infatti che la norma primaria (decreto “Sviluppo-bis” di ottobre 2012) imponeva a esercenti e professionisti di accettare pagamenti con carte di debito dal 1° gennaio 2014; termine poi prorogato al 30 giugno 2014 dal decreto “mille proroghe” (convertito in legge 27 febbraio 2014 n. 15, in vigore dal 1° marzo 2014). Con il decreto interministeriale del 27 gennaio 2014, il Ministro dello Sviluppo Economico (MSE), di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF), aveva però già emanato un provvedimento di attuazione per quanto disposto dal Decreto “Sviluppo-bis”.

Lo stesso decreto stabiliva che “con successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere individuate nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato rispetto a quelli individuati ai sensi dell’articolo 2 del presente decreto”. Entro quindi il 26 giugno 2014- quando scadono quei 90 giorni-, il ministero potrebbe pubblicare un decreto che di nuovo stabilisca eccezioni alla norma, in termini sia di fatturato sia di importo. Ad oggi l’obbligo è previsto per i pagamenti dai 30 euro in su. Si noti che, in base alla norma, il ministero ha la facoltà, ma non è obbligato a fare questo nuovo decreto (“possono essere individuate”). Ad oggi inoltre non risultano bozze di lavoro, quindi stando così le cose è possibile che al 30 giugno quell’obbligo si applichi a tutte le categorie.


Alcune di esse, proprio per questo motivo, sono sul piede di guerra; considerata l’incertezza della situazione potrebbe succedere di tutto. L’ordine degli Architetti ha fatto ricorso al Tar del Lazio, che per ora ne ha respinto la richiesta di sospensiva ma ancora non si è pronunciato nel merito.

Protestano anche i tabaccai. “La normativa è inattuabile per noi tabaccai-ricevitori”, ci scrive Massimiliano V., di Firenze. “Su alcuni servizi guadagniamo l’1 per cento; per altri, un forfait di 50 centesimi o poco più anche su pagamenti di diverse centinaia di euro. Se accetto un pagamento di 500 euro, con carta di debito, per una bolletta o per un bollo auto, ci guadagno 70 centesimi e ne spendo 10 euro di transazione in commissioni … più il canone mensile dello strumento”, spiega.

«La questione delle commissioni è particolarmente delicata», dice Valeria Portale, che si occupa di pagamenti innovativi presso gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «Soprattutto per quei esercizi commerciali in cui le marginalità sono risicate, ad esempio i tabaccai. Su questi temi dovrà necessariamente intervenire il legislatore». «E’ necessario però ricordare che il contante non è gratuito, ma ha un costo per gli esercenti, nonostante non sia percepito dagli esercenti stesso, legato al conteggio, al trasporto e al rischio ad esso associato. Tale costo nel caso di alcuni Tabaccai può arrivare all’1,5% del fatturato in contante».

Sul mondo dei tabaccai e pagamenti elettronici, Banca ITB (Banca rivolta al mondo dei tabaccai) sta lavorando ormai da qualche anno e propone soluzioni ad hoc per i tabaccai. Con l’effetto però di ribaltare il costo il costo sul cittadino, che per pagare certi servizi deve subire una commissione aggiuntiva: sia per pagamenti in contanti sia per quelli su carta. Banca ITB ha scelto infatti di spalmare i costi dei pagamenti elettronici su tutti i tipi di pagamento, anche quelli in contante.

“Abbiamo presente questa situazione e infatti abbiamo cominciato a proporre una soluzione che va incontro alle esigenze di esercenti e professionisti”, ribattono da Intesa San Paolo. “I nostri Pos mobili che si collegano a smarpthone e tablet, costano infatti solo 2 euro al mese, più una commissione che nel caso dei professionisti va dallo 0,60 allo 0,70 per cento per i pagamenti via bancomat”.

Ma i lati oscuri della normativa non si fermano qui. Secondo alcuni pareri che stanno circolando tra gli avvocati del settore, non c’è un vero e proprio obbligo a dotarsi di un Pos; ma solo ad accettare carte di debito. E il bancomat non è la sola. Per soddisfare la normativa, quindi, sarebbe sufficiente permettere di pagare via internet con una carta di debito (p.e. Mastercard e Visa). Esercenti e professionisti dovrebbero comunicare ai clienti questa possibilità e di essere disposti a fornire il bene o il servizio richiesto solo con la ricevuta di pagamento. Ovviamente questa procedura sarebbe un deterrente per qualsiasi persona: è più comodo andare a ritirare i contanti presso la banca più vicina.

A complicare ulteriormente l’interpretazione, c’è che il decreto attuativo di gennaio cita il Pos, a differenza della norma primaria. Lo fa però in modo sibillino. Cita il Pos solo nell’articolo uno e solo per darne una definizione, “ai fini del presente decreto”. Tuttavia, negli articoli successivi non lo cita più. Quindi il decreto si limita a definire il Pos ma non dice che l’esercente o il professionista devono dotarsene.

Infine, la norma ha dubbi effetti anche perché non prevede sanzioni. Chi viola l’obbligo (che, tecnicamente, è in realtà un “onere”) ha solo una conseguenza: la cosiddetta “mora del creditore”, al pari di quando si rifiutano pagamenti legittimi (per esempio in contanti sotto la soglia antiriciclaggio). E la mora di per sé non annulla il debito.

Insomma, una situazione confusa su cui il legislatore sarebbe chiamato a intervenire presto; certo prima della scadenza di giugno.

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