Open Finance è stata la parola d’ordine implicita dell’edizione 2019 di Money20/20. Si è parlato poco di come le banche possono essere più open, ma molto di più di come tutto l’ecosistema finanziario deve e può essere rivolto all’Open Innovation. Il solo temine “banking” rischia di limitare il punto di osservazione, di tenerlo troppo legato ai soli istituti di credito, mentre ci sono anche le assicurazioni, i merchant, le bigtech, i mercati che vanno rappresentati anche nella tipologia di servizi, che in minima parte sono prettamente bancari. Si pensi ad esempio ai pagamenti elettronici digitali e ai servizi che abilitano il risparmio (alla Oval Money e non prettamente di gestione del risparmio) che sono offerti in larga parte da attori non bancari. Molti in Italia e all’Estero si sono attivati con un percorso sull’Open Finance per obblighi di legge, per la spinta della PSD2, ottima cosa per iniziare, ma non sufficiente in molti casi per creare una vera propria strategia sull’Open Finance. E’ stato triste vedere top manager di HSCB o Barclays a Money20/20 svilire l’Open Banking e ridurlo alla semplice collaborazione con le startup.
L’Open Finance è una necessità perché la competizione nel mondo finanziario si fa sempre più allargata: si muovono nell’arena competitiva non solo gli istituti finanziari, bancari e assicurativi, ma anche startup, attori corporate, digital, tecnologici e telco, retailer e più in generale nuovi potenziali entranti. Ed inoltre stanno nascendo nuovi servizi, soprattutto grazie alle 1200 startup Fintech & Insurtech finanziate negli ultimi 2 anni. E mai come quest’anno si sono visti a Money2020 da una parte importanti fenomeni di collaborazione e dall’altra il crescente consenso che attori “non tradizionali” stanno iniziando a riscuotere, anche fra gli italiani.
Moltissime le aziende che nei saloni di Money20/20 hanno presentato la proprio offerta che ha lo scopo di abilitare l’Open Banking, solo per citare alcuni nomi: Tink, Fabrick, BankiFi, Consorzio CBI, Klarna, Setu, …
Abbiamo chiesto alle Italiane presenti a Money2020, CBI e Fabrik, un confronto su queste prospettive.
Liliana Fratini Passi, Direttore Generale di CBI
Quali opportunità dall’Open Finance per andare oltre alla PSD2?
Fratini Passi: “Per trasformare le sfide della PSD2 in opportunità, il Consorzio CBI – che si è appena trasformato in CBI S.c.p.a. – crede fortemente che la collaborazione tra tutti gli attori della filiera dei pagamenti possa creare un ecosistema di valore, al fine di sviluppare nuovi servizi competitivi a vantaggio degli utenti finali. Per tale ragione è stata realizzata CBI Globe – Global Open Banking Ecosystem, una piattaforma collaborativa multioperatore che semplifica l’interconnessione tra le banche e gli altri PSP coinvolti nello scenario competitivo delineato dalla PSD2 (AISP, PISP, CISP), in coerenza con quanto definito in ambito europeo dalla Direttiva, e a supporto dello sviluppo di servizi a valore aggiunto per passare dall’open banking al data sharing.”
Quale è lo stato attuale della vostra piattaforma?
Fratini Passi: “Ad oggi ha aderito a CBI Globe circa l’80% del mercato bancario italiano e sono circa 40 i PSP attivi nel testare le API esposte da CBI Globe. La soluzione è stata rilasciata in test dal 14 marzo 2019 e dal 1° giugno 2019, i PSP possono operare sulla soluzione in ambiente di produzione. La soluzione di CBI è stata altresì presentata in ambito internazionale nel corso di “Money20/20”.
Come si posiziona l’Italia nello scenario dell’Open Finance?
Fratini Passi: Con questa esperienza l’Italia può essere considerata una best in class in Europa e, data la vocazione internazionale, può attrarre i Prestatori di Servizi di Pagamento europei che aderendo alla piattaforma, possono contare su una maggiore concentrazione degli sforzi e specializzazione di business, evitando dispersione e frammentazione, per concorrere anche con i giganti globali al di fuori dell’Europa.
Alberto Adorini, Head of Strategy and Business Development, Fabrick
Cosa avete percepito a Money2020 sull’Open Finance Journey?
Alberto Adorini – Money2020 è l’evento di riferimento sui trend, attuali e futuri, relativi a fintech ed innovazione. L’importanza di essere presenti come ecosistema Fabrick sta nel fatto che possiamo far conoscere la nostra offerta a livello europeo ma anche confrontarci con il mercato e con gli altri player dell’industria.
Abbiamo percepito da parte di tutti gli attori presenti una forte consapevolezza sulle opportunità che l’Open Finance può offrire per innovare concretamente il settore finanziario. Lo scorso anno si parlava soprattutto di PSD2 e di compliance normativa, mentre ora si comincia a parlare di costruzione di valore tramite l’Open Finance. Fabrick si pone come abilitatore di nuovi modelli di business e la nostra proposta si è fin da subito sviluppata pensando che l’Open Finance fosse il principale risultato della trasformazione in atto e l’obiettivo da perseguire.
Quali spunti nuovi?
Alberto Adorini – L’interesse si è principalmente focalizzato su Open Finance e su challenger bank, un nuovo modo di fare banca puramente digitale con una quantità di servizi limitata, che servono una specifica classe di clientela. Anche su questo siamo stati pionieri, costruendo sulla nostra piattaforma come challenger bank e unendo due concetti fondamentali affrontati al Money20/20: cambiare il modo di fare banca in una maniera aperta.
L’Italia come si posiziona?
Alberto Adorini – Riscontriamo una più forte e consapevole attenzione rispetto alle opportunità di business che l’open finance offre. Si è capito che il fintech non va necessariamente subito ma si può cavalcare per trovare nuove fonti di revenue, cambiare i modelli, allargare lo spettro dei servizi offerti a beneficio del cliente finale. Anche in Italia si iniziano a vedere i primi risultati concreti di questo approccio, come per esempio BPER Banca con cui abbiamo realizzato un progetto che le permetterà di offrire una soluzione di light banking destinata a un nuovo target alla ricerca di servizi snelli, rapidi e fruibili via smartphone. Come Fabrick abbiamo lavorato per incrementare la consapevolezza sull’opportunità che il modello open rappresenta per le banche e in questi ultimi mesi sono notevolmente aumentate le interlocuzioni con Istituti interessati ad esplorare nuove possibili soluzioni da proporre ai propri clienti.
Cosa manca?
Alberto Adorini – Siamo all’inizio di una rivoluzione nel mondo dei servizi finanziari e naturalmente mancano ancora diversi elementi. In primis, non sono ancora chiari quali possano essere i nuovi prodotti e servizi che le nuove tecnologie abilitano e ci vorrà del tempo per poter vedere una adozione di massa: la rivoluzione non termina quando è pronta la tecnologia ma quando cambiano le abitudini di consumo dei clienti retail e corporate. Secondariamente, una della principali evoluzioni dell’Open Finance è costituita dalla possibilità di banche e fintech di collaborare (e competere) per portare sul mercato innovazione finanziaria. Per poter lavorare insieme, banche e fintech devono intervenire sulle rispettive culture aziendali per poter “accettare” di essere diverse e vedere nell’altra i punti di forza invece che gli elementi che possano bloccare una partnership. Infine, la PSD2 ha contribuito all’apertura di alcuni servizi, ma molto rimane ancora da fare: i servizi di investimento e finanziamento sono toccati dalla normativa in modo marginale e sta alla volontà degli operatori di servizi finanziari decidere come porsi a riguardo. Ci vorrà del tempo affinché si possa vedere lo stesso livello di apertura su tutti i servizi finanziari ma già alcuni player – come appunto Fabrick – stanno cercando di accelerare questo cambiamento.